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mercoledì 21 settembre 2011

L'ANIMA E IL CENTRO

"Se un'Anima [...] riconosce che il suo movimento non è rettilineo se non quando subisce una frattura, mentre per natura sarebbe simile a quello che si sviluppa in un cerchio  - un movimento che pertanto non è circoscritto a un punto esterno, ma che si realizza intorno al centro generatore del cerchio -, allora tale Anima si muoverà attorno a ciò da cui ha tratto origine, e a esso rimarrà aggrappata, tendendo al punto verso cui dovrebbero gravitare tutte le anime [...] Sarà allora questo centro dell'Anima l'oggetto della nostra ricerca? O è qualcos'altro in cui, per così dire, coincidono tutti i possibili centri? [...]
La circolarità dell'Anima non è riconducibile a una figura geometrica, ma al fatto che dentro e intorno a lei si trova "l'antica natura" da cui proviene [...]
Dato che una parte di noi è vincolata al corpo, è come se uno avesse i piedi immersi nell'acqua e il resto del corpo fuori; ora, se con questa parte non sommersa riuscisse a sollevarsi e a far coincidere il centro di se stesso con il centro di tutte le cose, qui troverebbe la sua pace"
PLOTINO, ENNEADI, VI 9,8

martedì 13 settembre 2011

LA GNOSI DI PRINCETON

Raymond Ruyer
– La Gnosi di Princeton. La scienza alla ricerca di una religione.
– Nardini Editore – 198o – pp. 5- 15
LA GNOSI DI PRINCETON

La nuova gnosi americana – movimento riservato se non addirittura segreto – è sorta a Princeton e a Pasadina a partire dagli anni sessanta dello scorso secolo, negli ambienti scientifici dei fisici, degli astronomi e dei biologi. Ha raccolto numerosi proseliti tra i membri dell’alta amministrazione, cosi come tra i rappresentanti dell’alta gerarchia ecclesiastica. Pur rimanendo prettamente scientifica, si considera religiosa nello spirito. Si tratta di una scienza “ritornata o meglio riportata al giusto verso. Per essere capita richiede quindi un certo rovesciamento dei nostri abituali schemi mentali.
L’universo materiale è come una tappezzeria vista alla rovescia. Esso non è formato né da cose materiali né da energie fisiche: è costituito interamente da domini di coscienza in corrispondenza con un Dominio o Sorgente fondamentale, con uno spazio-tempo-soggetto. La Sorgente cosmica è comparabile a una serie di temi-programmi che domina il caso, o ancora a una lingua madre che tutti si sforzano di parlare nella loro maniera ed al loro livello. In un universo così riportato al “diritto”, la morte, come la vita, assume un aspetto del tutto differente.
La nuova gnosi si presenta anche come una “sapienza”. Vuole essere una sorta di neo-stoicismo contro il cinismo contemporaneo.

L’espressione “Gnosi di Princeton”, negli Stati Uniti, è affatto recente. Essa risale al 1969 e, come spesso succede, sono stati alcuni avversari o certi osservatori scherzosi che l’hanno trovata, proprio come accadde in Francia tempo fa per i cubisti, gli impressionisti, i fauves. E’ anche piaciuta agl’interessati che, con molto senso di humour, l’hanno accettata, quasi a sfidare i colleghi “positivisti” che li chiamavano anche “cosmolatri “, “ palomariani” e teosofi.
Il movimento, in effetti, è più antico della definizione, avendo avuto molti preannunci e risonanze. Ci sono una pre- ed una para-Gnosi che si potrebbero intravedere molto lontano dal centro del movimento il quale, benché vi abbia avuto la sua principale origine, non è limitato a Princeton ed ai suoi scienziati.
Questi sono, per definizione, dei fanciulli appassionati di giochi, e in America più che altrove. Gamov racconta, con ingenua ironia, l’impressione di solennità tutta francese che gli fece Louis de Broglie, uomo peraltro quanto mai semplice e modesto. Gli scienziati americani sono come fanciulli che sono teologi più seri e spontanei degli adulti.

Per gli scienziati americani Dio è un padre molto vecchio e venerabile che si può anche disturbare. E’ allo stesso tempo un complice ed una specie di padrone di cui si conoscono molti segreti, ma non tutti. Da ciò il suo perdurante prestigio.
Pensare l’universo è importunare Dio, è giocare ad essere Dio o con Dio o, come diceva Einstein, con il “Vecchio”.
Dopo le speculazioni cosmologiche di Einstein, il senso della totalità o della totalizzazione cosmica ha fatto il suo ingresso nella scienza ufficiale, mentre l’influenza del pensiero buddista si è fatta sentire a Princeton per mezzo dei fisici cinesi e giapponesi giunti nei suoi laboratori, tanto che alcuni giovani cacciatori di particelle, e soprattutto i sottili teorici delle “tabelle” che sottendono i sistemi di particelle, le loro interazioni, scambi e interinformazioni, hanno fatto un omaggio al buddismo dell’” Ottuplice Via “ battezzando una particella pesante col nome di Buddha.
I Gialli americanizzati incontravano il gusto inglese e americano per le filosofie orientali: lo Yoga, il Taoismo, lo Zen.
La “scienza” buddista e la “scienza” brahmanista incontravano la scienza cristiana al più elevato livello mentale, lontano dai bassifondi dove sguazzano gli ultimi discepoli di Madame
Blavatzky.
Bisogna soprattutto immaginare l’atmosfera invero particolare di queste comunità scientifiche, veramente “ tibetane “, che si sentono sul tetto del mondo, di un mondo un po’ repellente che esse dominano non per mezzo del potere ma dell’intelligenza.
In Europa, e soprattutto in Francia, quando la vertigine dell’altezza non si disperde in vanità, essa si traduce in ideologia politica e nell’ambizione di rifare la società. Ciò accade anche in America, e i “positivisti” vi sono molto più inclini degli Gnostici. Gli Gnostici non ne vogliono sapere di politica, in contrapposto a questo clericalismo degli scientisti.
Essi mantengono l’oasi dei loro “monasteri” o delle loro corporazioni quasi religiose con la saggezza dei monaci dell’alto Medioevo. Ancora una volta nella storia, i rapporti maestro-compagno e maestro-discepolo generano una comunità religiosa non ecclesiastica e uno Stato conventuale analogo a quelli dell’antico Tibet e del Monte Athos, distaccato dallo Stato politico.
Gli “Gnostici” considerano gli “Ideologi” con lo stesso occhio con cui una volta, e un po’ forse anche oggi, i monaci consideravano i preti della Chiesa, come dei chierici secolari perduti nel mondo. Essi assomigliano anche ai saggi dell’epoca ellenistica, testimoni della dissoluzione del vecchio mondo politico delle città in imperi dagli incerti contorni.
[…]
Essi alzano le spalle, o piuttosto sorridono, davanti alle pretese dei loro colleghi universitari dei clans di Galbraith, di Marcuse, di Chomsky, che vogliono costituire la nuova classe dirigente post-economica e controllare la formazione di un nuovo ordine sociale. Essi rifiutano di essere i “controllori delle mutazioni” e di predicare la rivoluzione o la riforma. Anche in questo sono “monaci” e non “chierici”.
Essi vogliono, cosi, essere pari ai saggi delle scuole della tarda antichità, agli Epicurei e agli Stoici.
E proprio alle scuole stoica ed epicurea che bisogna comunque rifarsi per afferrare il senso del nuovo movimento. Anche queste antiche scuole avevano le 1oro radici nella scienza dell’epoca, nella fisica dell’atomismo materialista o del dinamismo vitalista; davano delle regole di vita presentandole come derivate dalla scienza e uscite dalla meditazione sulle grandi leggi dell’universo.
[…]
Certo il contenuto è affatto differente, spesso tutto all’opposto. Tuttavia la condizione spirituale è la stessa. I Nuovi Gnostici sembrano sempre, come Lucrezio, rivolgersi a Memmio, un Memmio eterno come la debolezza umana.
L’appellativo o1mai accettato di Gnostici (potrebbe anche cambiare in futuro) non deve trarre in inganno. La Gnosi, come si sa, nata nei paesi del Mediterraneo orientale nel I secolo della nostra era, portava alla salvezza per mezzo della conoscenza e della scienza.
La Gnosi è la conoscenza della realtà soprasensibile “invisibilmente visibile in un eterno mistero”.
Il Soprasensibile costituisce, nel centro e al di là del mondo sensibile, l’energia motrice di ogni forma di esistenza. La Gnosi ci rivela ciò che noi siamo, che siamo divenuti, il luogo donde veniamo e quello dove siamo caduti, il fine verso il quale ci affrettiamo. Ma si trattava anche della scienza di Dio, di una teosofia e di una Conoscenza illuminante e salvatrice che non si riferiva al mondo nel senso tecnico del termine né all’”Io” quale lo si intende in psicologia. Il possesso di questa scienza stabiliva magicamente una misteriosa connessione tra l’Iniziato al sapere e la potenza propria di quel sapere. Come la luce — piuttosto che come la visione — essa donava la vita.
L’iniziato apprendeva una storia cosmica e teologica il cui tema era la caduta, ma non dell’uomo peccatore come nel cristianesimo, bensì di semidei cattivi e infedeli, arconti ribelli che avevano tradito il Dio buono, scavando orridi abissi di spazio e di tempo tra Dio e il mondo, dove l’uomo soffriva in stato di affliggente abbandono. Salvatori illuminati traversavano l’abisso e per mezzo della Gnosi aiutavano l’uomo a rianimare la fiammella della sua anima e a risalire verso il Dio della luce.
I Nuovi Gnostici assomigliano agli antichi in quanto essi credono alla conoscenza ed alla scienza, piuttosto che all’azione e al potere. Fisica e biologia moderne però sono evidentemente delle questue tecniche e non rassomigliano per niente ad una illuminazione-rivelazione. Il Logos spermaticos  stoico e gnostico — il cui culto ha portato alle strane e impressionanti contorsioni rituali dei barbelognostici e dei discepoli di Basilide, dopo le quali i più laidi riti hippies appaiono dei minuetti settecenteschi — non rassomiglia in niente al Logos participable che i Nuovi Gnostici si divertono a trovare sotto le scoperte della fisica e della biologia contemporanee.
Resta solo il termine “Gnostici” che é stato accettato per significare che essi cercano la vera Conoscenza non subordinata all’utilità pratica — quantomeno all’utilità immediata, perché lo scopo finale resta proprio l’”esistenza riuscita”.
[…]
Il Movimento è aristocratico in tutti i possibili significati del termine. E’ la sua apparente debolezza, ma può essere anche la sua forza, perché è senza dubbio un pregiudizio credere che i movimenti religiosi debbano uscire da una classe popolare per essere vigorosi.
[…]
Il Movimento è aristocratico in quanto rinuncia coscientemente ad ogni proselitismo e ad ogni pubblicità. E’ discreto senza essere segreto. I Neo-Gnostici considerano grossolana l’attrattiva del mistero e rinunciano ad ogni pittoresco e a tutto ciò che essi chiamano il “piccolo simbolismo, che essi condannano con una severita che io trovo eccessiva. La loro saggezza è simile a quella dei solitari di Port-Royal, uniti in comunità per convinzioni appassionate ma individuali, che li attiravano gli uni verso gli altri. Ognuno deve scoprire da sé la Via e la Verità e si converte per approfondimento scientifico e non per iniziazione rituale.

Essi ripudiano naturalmente ogni cerimoniale — una rarità in America dove si amano tanto le società pseudo-segrete e le massonerie di tutti i generi, per i blasoni che esse distribuiscono con poca o punta spesa. Essi ripudiano anche ogni cerimoniale intellettuale, poiché ognuno si inizia da se stesso al momento giusto e reinventa la Regola come nel gioco con le carte inventato da uno di loro (il gioco Eleusi) che consiste nell’indovinare la regola, non applicarla con astuzia.
Nell’Eleusi il maestro di gioco (ognuno lo fa a turno) fissa una regola segreta facendone un appunto scritto che sarà controllato alla fine del gioco. Egli pone quindi una carta sulla tavola ed accetta o rifiuta le carte giocate in successione dagli altri giocatori a seconda o meno che esse corrispondono alla regola. Il giocatore che indovina la regola si sbarazza più presto delle sue carte vincendo la partita. Naturalmente ci possono essere diverse fasi e diversi sistemi di conteggio dei punti. Questo gioco ha invaso l’ambiente universitario e quello dei ricercatori, per l’analogia che esso presenta con il metodo abituale della ricerca scientifica.
La Nuova Gnosi è come l’Eleusi: ognuno si inizia da sé; ognuno è, a turno e contemporaneamente, giocatore e maestro del gioco. C’e poi una specie di libera e mutua cooptazione - nondimeno severa perché la regola è sottile. Gli Gnostici pensano, inoltre, che il loro sistema di iniziazione rappresenti il sistema stesso dell’esistenza reale, dove ogni essere, prendendo l’iniziativa, deve scoprire ciò che si aspetta da lui il Maestro di Gioco sconosciuto.
Per un periodo molto breve, gli Gnostici si sono interessati all’arte “inferenziale” di John Cage, alla quale lo spettatore deve contribuire almeno quanto l’autore. Essi hanno pero smesso molto presto di prenderla sul serio, come del resto tutto ciò che rassomiglia, su qualsiasi piano, al buddismo Zen, che essi hanno finito per considerare uno dei flagelli del nostro tempo.

La Nuova Gnosi è una massoneria senza riti e senza cerimonie di intronizzazione, uno stoicismo o un epicureismo senza ricette morali, dove ciascuno mette alla prova, per sé e per gli altri, le sue regole di atteggiamento e di comportamento, i suoi “montaggi” sperimentali così che la Regola buona si sviluppa a poco a poco dai tentativi e dagli errori in buona fede.
Anche per questo il sistema rassomiglia superficialmente a quello degli hippies differendone in profondità. Perché le iniziative e le libere induzioni sono in ultimo giudicate — e per la maggior parte eliminate — da una selezione che è dello stesso tipo della selezione naturale pero molto più rapida, agendo in una società intelligente e agile.
In un altro senso gli Gnostici non vogliono essere e non sono aristocratici. Essi non vogliono essere né high browegg head e hanno orrore dei pedanti che si arroccano dietro un linguaggio saccente per impressionare la gente, che non parlano che di democrazia e socialismo nel momento stesso che formano un clan privilegiato di chierici tronfi e soddisfatti di sé. Gli Gnostici si sentono “proprietari terrieri” solo per le terrae cognitae et incognitae della conoscenza, con venerazione per il “Sovrano sconosciuto”.
Aristocratici, essi potrebbero anche passare per “reazionari”; anche se il termine in America non ha molto significato. Non si può affermare che essi non abbiano alcuna ammirazione per i due grandi demolitori moderni, Marx e Freud, questi fracassatori della filosofia e della società, questi riduttori e decompositori. Ma essi esecrano i loro seguaci, i loro commentatori ed epigoni, soprattutto Wilhelm Reich e Herbert Marcuse.
In effetti essi vanno avanti con il dichiarato proposito di mettere fine al periodo di dissociazione e riduzione che da troppo tempo dura e accumula guasti. La Nuova Gnosi si contraddistingue anche per la sua ambizione “organica”, contro lo snobismo disorganizzatore che corrode tutte le società civilizzate.
Secondo gli Gnostici, solo per le menti superficiali i “riduttori” hanno reso anacronistico il pensiero organico centrale e normale dell’umanità, quale si manifesta nelle credenze tradizionali, irrazionali o transrazionali, e nelle filosofie che approfondiscono queste credenze senza distruggerle.
I “riduttori” hanno una visione molto locale dell’uomo, una visione troppo antropocentrica e scientificamente sorpassata.
Gli Gnostici hanno invece una visione cosmocentrica — e forse teocentrica — conforme, dicono, alla scienza contemporanea e alla sua cosmologia “conchiusa”. Non ne vogliono sapere di una religione umanista limitata alla comunità umana. L’uomo deve tenere nel mondo il suo posto di Scimmione che ha momentaneamente fatto una buona riuscita.
Far ruotare la filosofia e la religione intorno all’organizzazione sociale ed economica (o piuttosto intorno a qualche modalità accessoria di questa organizzazione), o intorno all’organizzazione poliziesca degli Stati, oppure al modo di soddisfare la libido di quello Scimmione e alla sua maniera di parlare e di comunicare le sue impressioni alle altre scimmie sue congeneri, tutto ciò sembra agli Gnostici un’idea comica, una rivoluzione mentale anticopernicana.
[…]
“Per capire le leggi dell’organizzazione sociale, dell’amore, del linguaggio, se non se ne fa una creazione arbitraria del1’uomo, bisogna invocare una Sorgente, una Unità, un Ordine universale. Non si può essere contemporaneamente il Tolomeo e il Copernico della cultura.” “Quando si "crea" una forza centrifuga facendo girare un secchio d’acqua, non si crea assolutamente niente, si constata solo la presenza di inerzia che di per sé non avrebbe né senso né esistenza se non ci fosse tutto ciò che esiste nel cosmo. Si può dunque dire, come Mach, che l’universo, girando attorno al vostro secchio, attira l’acqua verso le pareti. E’ però escluso- che possiate parlare di massa e inerzia "separate"”.
L’idea di Mach — di cui essi peraltro non apprezzano la filosofia — è uno dei riferimenti costanti degli Gnostici fisici.
Essa é sempre presente alla loro mente e si sa che è stata per Einstein una prima e fondamentale ispirazione. Molti di essi poi riprendono la teoria di Eddington, tuttora contestata, secondo la quale i fenomeni atomici e le loro dimensioni sono in stretta relazione con l’intero cosmo, o uranoide, e non potrebbero prodursi in un universo vuoto. Sciama, Fred Hoyle ed altri ammettono che l’intensità delle interazioni locali dipende dalle condizioni generali del cosmo.

[…]

lunedì 12 settembre 2011

Lo Scienziato e la "Gnosi"

"La differenza che da sempre ha contraddistinto il grande "scienziato" e "filosofo" dal bravo "tecnico" è l'avere seguito un percorso di "Gnosi" che lo ha reso in grado di vedere al di là delle mappe concettuali dei paradigmi dominanti.  Solo vedendo al di là delle ombre della caverna platonica la conoscenza umana ha potuto realizzare i grandi salti evolutivi."
"The difference between the great "Scientistist" and Philosopher and the good "Technician" relies on the fact that the scientist-philosopher follows a path of "Gnosis" that enables him to see beyond the conceptual maps of dominant paradigms.Only seeing beyond the shadows of Plato's cave, the human knowledge could accomplish the great evolutionary leaps."
          di Gandolfo Dominici 

giovedì 8 settembre 2011

La Gratitudine


La gratitudine
Il ricordo dei favori ricevuti non è solo la massima virtù, ma anche la madre di tutte le doti 
[…] 
Che amicizia ci può essere tra ingrati? 
Chi c’è tra noi, educato nobilmente, tra maestri e dottori, il quale non conserva il ricordo dello stesso luogo dove nacque e educò l’animo con le arti liberali? 
Certamente è proprio dell’uomo essere legato non solo al beneficio ma anche all’espressione della benevolenza e dell’approvazione.
(Cicerone)

Il Gigante, il Nano e la Piramide


"Il nano ha bisogno di piramidi precostruite per sentirsi alto ma rimane nano. Il gigante, essendo per sua essenza già a quell'altezza, arriva da solo dove il nano ha bisogno di arrampicarsi."
di Gandolfo Dominici

domenica 4 settembre 2011

«Riunire ciò che è sparso» di René Guénon


René Guénon

«Riunire ciò che è sparso»



In una nostra opera abbiamo citato,(1) a proposito del Ming-tang e della Tien-ti-Huei, una formula secondo la quale il compito dei Maestri consiste nel «diffondere la luce e riunire ciò che è sparso». Di fatto, l’accostamento che facevamo allora riguardava soltanto la prima parte della formula;(2) in quanto alla seconda, che può sembrare più enigmatica, siccome essa ha nel simbolismo tradizionale notevolissime connessioni, ci sembra interessante fornire su questo punto alcune indicazioni che non avevano potuto trovar posto in quella occasione.

Per capire nel modo più completo possibile la cosa, conviene innanzitutto riferirsi alla tradizione vêdica, che è più esplicita di altre a tale riguardo: secondo essa, infatti, “ciò che è sparso” sono le membra del Purusha primordiale che fu diviso nel primo sacrificio compiuto dai Dêva all’inizio dei tempi, e da cui nacquero, grazie a tale divisione, tutti gli esseri manifestati.(3)

È evidente che si tratta di una descrizione simbolica del passaggio dall’unità alla molteplicità, senza di cui non potrebbe effettivamente esserci alcuna manifestazione; e ci si può già rendere conto così che la “riunione di ciò che è sparso”, o la ricostituzione del Purusha quale esso era “prima dell’inizio”, se è consentito esprimersi così, cioè nello stato non-manifestato, non è altro che il ritorno all’unità principiale. Purusha è identico a Prajâpati, il “Signore degli esseri prodotti”, essendo questi ultimi tutti derivati da lui e di conseguenza considerati quasi come la sua “progenie”;(4) è anche Vishwakarma, cioè il “Grande Architetto dell’Universo”, e, in quanto Vishwakarma, è lui a compiere il sacrificio pur essendone nello stesso tempo la vittima;(5) e, se si dice che è sacrificato dai Dêva, ciò non comporta in realtà alcuna differenza, poiché i Dêva non sono in definitiva nient’altro che le “potenze” che egli porta in se stesso.(6)

Abbiamo già detto a varie riprese che ogni sacrificio rituale dev’essere considerato un’immagine di questo primo sacrificio cosmogonico; e sempre in ogni sacrificio, come ha fatto notare Coomaraswamy
«la vittima, come mostrano con evidenza i Brâhmana, è una rappresentazione del sacrificante, o, come dicono i testi, è il sacrificante stesso; in accordo con la legge universale secondo cui l’iniziazione (dîkshâ) è una morte e una rinascita, è evidente che l’«iniziato è l’oblazione» (Taittiriya Samhitâ, VI, 1, 4, 5), 
«la vittima è sostanzialmente il sacrificante stesso» (Aitarêya Brâhmana, II, 11)».(7) 
Questo ci riporta direttamente al simbolismo massonico del grado di Maestro, nel quale l’iniziato si identifica effettivamente con la vittima; si è d’altronde spesso insistito sui rapporti fra la leggenda di Hiram e il mito di Osiride di modo che, quando si tratta di “riunire ciò che è sparso”, si può immediatamente pensare a Iside che riunisce le membra disperse di Osiride; ma in fondo la dispersione delle membra di Osiride è appunto identica a quella delle membra di Purusha o di Prajâpati: sono soltanto, si potrebbe dire, due versioni della descrizione del medesimo processo cosmogonico in due forme tradizionali diverse. È vero che nel caso di Osiride e in quello di Hiram non si tratta più di un sacrificio, almeno esplicitamente, ma di un assassinio; ma questo non cambia nulla essenzialmente, poiché è la medesima cosa considerata sotto due aspetti complementari, come sacrificio sotto l’aspetto “dêvico” e come assassinio sotto l’aspetto “asurico”;(8) ci accontentiamo di segnalare questo punto di sfuggita, perché non potremmo insistervi senza addentrarci in argomentazioni troppo circostanziate ed estranee al problema che ora stiamo trattando.

Sempre allo stesso modo, nella Cabala ebraica, per quanto non si parli più propriamente né di sacrificio né di assassinio, ma piuttosto di una specie di “disintegrazione” le cui conseguenze sono del resto le stesse, è dalla frammentazione del corpo dell’Adam Qadmon che si è formato l’Universo con tutti gli esseri che contiene, di modo che questi ultimi sono quasi particelle di tale corpo, e la loro “reintegrazione” nell’unità appare come la ricostituzione stessa dell’Adam Qadmon. Esso è l’“Uomo Universale”, e Purusha, secondo uno dei significati di questa parola, è pure l’“Uomo” per eccellenza; si tratta quindi esattamente della stessa cosa. Aggiungiamo a questo proposito, prima di procedere, che poiché il grado di Maestro rappresentava, almeno virtualmente, il termine dei “piccoli misteri”, bisogna quindi considerare in questo caso propriamente la reintegrazione al centro dello stato umano; ma è noto che lo stesso simbolismo è sempre applicabile a livelli diversi, in virtù delle corrispondenze che esistono fra di essi,(9) di modo che lo si può riferire sia a un mondo determinato, sia a tutto l’insieme della manifestazione universale; e la reintegrazione nello “stato primordiale”, che è d’altronde anche “adamico”, è quasi una figura della reintegrazione totale e finale, per quanto essa sia ancora solo, in realtà, una tappa sulla via che vi conduce.

Nello studio che abbiamo citato sopra, A.K. Coomaraswamy dice che 
«l’essenziale, nel sacrificio, è in primo luogo dividere, e in secondo luogo riunire»; 
esso comporta dunque le due fasi complementari della “disintegrazione” e della “reintegrazione” che costituiscono il processo cosmico nel suo complesso: il Purusha, 
«essendo uno, diventa molti, ed essendo molti, ridiventa uno»
La ricostituzione del Purusha è operata simbolicamente, in particolare, nella costruzione dell’altare vêdico, che comprende nelle sue diverse parti una rappresentazione di tutti i mondi;(10) e il sacrificio, per essere compiuto correttamente, richiede una cooperazione di tutte le arti, il che assimila il sacrificante a Vishwakarma stesso.(11) d’altra parte, poiché si può considerare che ogni azione rituale, cioè in definitiva ogni azione veramente normale e conforme all’“ordine” (rita), sia dotata di un carattere in certo modo “sacrificale”, secondo il senso etimologico di questa parola (da sacrum facere), quel che è vero per l’altare vêdico lo è anche, in una certa maniera e in una certa misura, per ogni costruzione edificata conformemente alle regole tradizionali, poiché quest’ultima procede sempre in realtà da uno stesso “modello cosmico”, come abbiamo spiegato in altre occasioni.(12) 
Si vede ,come ciò sia in diretto rapporto con un simbolismo “costruttivo” come quello della massoneria; e d’altronde, anche nel senso più immediato, il costruttore riunisce effettivamente dei materiali sparsi per farne un edificio che, se è veramente quel che dev’essere, avrà un’unità “organica”, paragonabile a quella di un essere vivente, se ci si pone dal punto di vista microcosmico, o a quella di un mondo, se ci si pone dal punto di vista macrocosmico.

Per concludere, ci resta ancora da parlare un poco di un simbolismo d’altro genere, che può sembrare assai diverso nelle sue apparenze esteriori, ma è nondimeno, in fondo, equivalente nel significato: si tratta della ricostituzione di una parola a partire dai suoi elementi letterali presi dapprima isolatamente.(13) Per comprenderlo, bisogna ricordarsi che il vero nome di un essere non è altro, dal punto di vista tradizionale, che l’espressione della sua essenza stessa; la ricostituzione del nome equivale quindi, simbolicamente, alla ricostituzione dell’essere stesso. 
È anche noto il ruolo che svolgono le lettere in un simbolismo come quello della Cabala riguardo alla creazione o alla manifestazione universale; si potrebbe dire che questa è formata dalle lettere separate, che corrispondono alla molteplicità dei suoi elementi, e che, riunendo tali lettere, la si riconduce per ciò stesso al suo Principio, sempre che la riunione venga operata in modo da ricostituire effettivamente il nome del Principio.(14) 
Da questo punto di vista, “riunire ciò che è sparso” è lo stesso che “ritrovare la Parola perduta”, poiché, in realtà, e nel suo senso più profondo, tale “Parola perduta” non è altro che il vero nome del “Grande Architetto dell’Universo”.

NOTE:
1. La Grande Triade, cap. XVI.
2. Il motto della Tien-ti-Huei di cui si trattava era infatti questo: «Distruggere l’oscurità (tsing), restaurare la luce (ming)».
3. Si veda Rig-Vêda, X, 90.
4. La parola sanscrita prajâ è identica al latino progenies.
5. Nella concezione cristiana del sacrificio, Cristo è anche la vittima e il sacerdote per eccellenza.
6. Commentando il passo dell’inno del Rig-Vêda menzionato sopra, in cui è detto che è «mediante il sacrificio che i Dêva offrirono il sacrificio», Sâyana dice che i Dêva sono le forme del soffio (prâna-rûpa) di Prajâpati. Cfr. quel che abbiamo detto a proposito degli angeli in Monothéisme et Angélologie. S’intende che in tutto ciò si tratta sempre di aspetti del Verbo divino cui si identifica in definitiva l’“Uomo universale”.
7. Âtmayajna: Self sacrifice, nello «Harvard Journal of Asiatic Studies», febbraio 1942.
8. Cfr. anche, nei misteri greci, l’assassinio e lo smembramento di Zagreus da parte dei Titani; è noto che questi sono il corrispettivo degli Asura della tradizione indù. Forse non è inutile notare, d’altra parte, che il linguaggio corrente applica la stessa parola “vittima” nel caso del sacrificio come in quello dell’assassinio.
9. Alla stessa maniera, nel simbolismo alchimistico, c’è corrispondenza fra il processo dell’“opera al bianco “e quello dell’“opera al rosso”, per quanto il secondo riproduca in certo modo il primo a un livello superiore.
10. Si veda Janua Coeli [qui sotto, come cap. 58].
11. Cfr. A.K. Coomaraswamy, Hinduism and Buddhism, p. 26.
12. I riti di fondazione di un edificio comportano d’altronde in genere un sacrificio o una oblazione nel senso rigoroso di queste parole; anche in Occidente, una certa forma di oblazione si è conservata fino ai nostri giorni nel caso in cui la posa della prima pietra sia compiuta secondo i riti massonici.
13. Ciò corrisponde naturalmente, nel rituale massonico, al modo di comunicazione delle “parole sacre”.
14. Finché si rimane nella molteplicità della manifestazione, si può solo “compitare” il nome del Principio discernendo il riflesso dei suoi attributi nelle creature in cui essi si esprimono soltanto in modo frammentario e disperso. Il massone che non è giunto al grado di Maestro è ancora incapace di “riunire ciò che è sparso”, e perciò “sa solo compitare”.


in Simboli della scienza sacra

sabato 3 settembre 2011

UN'ANTICA PARABOLA SUFI

Un sant’uomo camminava lungo il fiume pensando alla natura della vera santità. Era un uomo preciso, si atteneva alle leggi sacre e riteneva suo sacro dovere notare le fragilità sue e degli altri. Studiava e pregava con impegno per diventare quanto più perfetto possibile. Mentre camminava lungo il fiume, recitando le sue preghiere, sentì echeggiare da lontano, sull’altra riva del fiume, la più santa delle preghiere del suo ordine.
La preghiera, come era previsto, veniva ripetuta più e più volte per indurre, in chi la recitava, una trance devota. Quella preghiera, però, disturbava il sant’uomo: chiunque la stesse recitando non l’aveva imparata a dovere, le sillabe delle prime parole erano nell’ordine sbagliato.
Il sant’uomo sapeva che un requisito fondamentale per ottenere la beatitudine nella vita successiva era tendere alla perfezione nella vita presente. Chiaramente, l’errata recitazione dell’importante preghiera rappresentava per il pellegrino al di là del fiume una minaccia al raggiungimento del paradiso. L’opportunità di "fare una buona azione", correggendo quel fedele, indusse il sant’uomo ad affittare una barca per attraversare il fiume e cercare l’uomo che stava straziando quelle sante e bellissime parole. Mentre remava tra le piccole onde affrontando la corrente, la sua mente si rivolse a un curioso fenomeno relativo alla santità, a cui non aveva mai avuto l’opportunità di assistere. Pensò che c’era bisogno di raggiungere elevatissimi livelli di santità per riuscire a camminare sull’acqua. Forse, se fosse stato capace di perfezionarsi ancora un pò, compiendo atti come quello a cui si stava dedicando in quel momento (la necessaria correzione di un maldestro peccatore che non si era impegnato abbastanza a imparare per bene le preghiere) anche lui, un giorno, sarebbe stato capace di raggiungere il livello di santità necessario per camminare sull’acqua. E un’altra cosa: era certamente dovere di tutti gli uomini giusti consigliare e correggere coloro che sbagliano. Com’era un dovere accettare il consiglio e le regole con umiltà e senza chiedere spiegazioni. L’errato esordio della preghiera si affacciò di nuovo alla sua consapevolezza, disturbando le riflessioni sulla santità e sulle sue più elevate manifestazioni. Il suono proveniva da un’isola in mezzo al fiume. Si avvicino a un piccolo molo, legò la barca, percorse un sentiero e si stupì di trovare, all’interno di una piccola grotta, un sant’uomo del suo stesso ordine in preghiera.
“Fratello — disse il rematore sudato — mi sono preoccupato di remare fin qui per farti notare che stai recitando nel modo sbagliato le tue preghiere. Dici "yee moo yen zaa" invece di "yen moo zaa yee".”
“Grazie — disse l’eremita. Mi era venuto il dubbio di star commettendo un errore e ti sono veramente grato per esserti dato tanto da fare. Potresti ripetermi di nuovo la formula corretta in modo che mi sia più facile seguire la via più illuminata?”
Il sant’uomo ripeté la versione corretta e tornò alla sua barca. Mentre remava rifletté sulla natura delle buone azioni e sul dovere dell’uomo dotato di una morale di restituire l’ordine corretto a un mondo confuso. Atti di santità come quello erano i segni e i simboli dell’avvicinamento alla vera santità e al paradiso; Si stupì molto quando venne nuovamente disturbato nelle sue riflessioni da una voce che lo chiamava.
“Aspetta un momento, per favore”,
disse la voce al di là delle onde.
Guardando; il sant’uomo vide l’eremita che camminava veloce sull’acqua verso di lui.
“Mi dispiace moltissimo disturbarti ancora, ma credo di avere una pessima memoria e non sono un bravo allievo. Hai detto "yen zaa moo yee" o "yen moo zaa yee"?”
“Yen moo zaa yee”
rispose, intontito, il sant’uomo.
“Grazie. Che la tua buona azione sia ricompensata come merita.”
E cosi dicendo l’eremita si volto e tornò indietro camminando leggero sull’acqua. 
Owen N., Le parole portano lontano, Ponte delle Grazie, 2001, pagg. 93-95