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giovedì 30 giugno 2011

Conoscere se stessi per "cavalcare la tigre"

Dionisio infante cavalca una tigre (El Djem tunisia)


‎"Il problema primo, base di ogni altro, è di carattere interno: rialzarsi, risorgere interiormente, darsi una forma, creare in sé stessi un ordine ed una dirittura". 
J. EVOLA

Detto in altri termini, più semplici... capire chi si è e conoscere se stessi per essere pronti ad esserlo sempre. Non lasciarsi definire da alcuno stereotipo. E' il primo passo nel cammino di ciascuno e se tutti camminano l'umanità avanza e potrà "cavalcare la tigre" (1).
di Gandolfo Dominici  
Nota:
(1) Per il significato di "cavalcare la tigre" vedi: http://pensieri-di-gandalf.blogspot.com/2011/06/cavalcare-la-tigre-di-julius-evola.html

lunedì 27 giugno 2011

Il concetto di emergenza e la negazione della realtà

Il concetto di emergenza, ben noto ai filosofi, e per lungo tempo più usato dagli scienziati: “Emerge, quindi è”. Oggi sembra essere invece comune modo di pensare di molti scienziati la negazione di questo principio.
Il fisico olandese Erik Verlinde, in un recente articolo citato più volte da stampa e media, basandosi sulla nozione di non esistenza dell’emergente asserisce che la gravità non esiste, è solo un’illusione.

Lo stesso approccio, di negazione dell’emergente, può essere adottato per  qualsivoglia grandezza od oggetto fisico che si ipotizzi emergente da qualcosa di più fondamentale.
Per esempio, il monitor che ho dinanzi non esisterebbe, sarebbe una pura illusione: esso, infatti, è in realtà composto da particelle, onde spazio vuoto ed energia, mentre ciò che vedo a occhio nudo sono soltanto le sue proprietà  
Seguendo questo approccio tutto ciò che con cui interagiamo e che concepiamo come entità nella vita di tutti i giorni  non esiste. Esiste solo ciò che è realmente sostanziale, il livello del sostanziale “non-emergente”.
Affermare che la gravità non esiste perché emerge  equivale a sostenere che tutto ciò che emerge da uno strato più fondamentale non esiste.

Ma cosa è veramente fondamentale?
Se anche potessimo essere certi di aver trovato la “teoria ultima”, in grado di descrivere in maniera inequivocabile la realtà fisica, potremmo assegnare la patente di “esistenza” ad un numero ridotto di entità che non sono quelle con cui ci confrontiamo nel nostro vissuto?
Forse occorre invece capire che emergenza ed esistenza sono due ordini di natura differente.
Un oggetto che è emergente rispetto a un determinato livello è “nuovo”, e non è deducibile o prevedibile a partire dal livello più fine. L’acqua, ad esempio, è liquida a un dato livello di definizione fisica, ma non lo é ad un livello più fine, in cui si devono considerare le molecole che la compongono. Dunque la proprietà di “liquido” e emergente rispetto al livello molecolare di definizione; ma non sarebbe produttivo per la scienza negare l’esistenza dello stato liquido per questo motivo.
La nozione di emergenza è indispensabile per la scienza. Considerare l’emergenza rende possibile lo studio di fenomeni ai quali bisogna riconoscere una specifica identità e quindi una consistenza di tipo ontologico. I vari livelli di emergenza, pur appartenendo alla medesima realtà fisica, devono essere considerati e studiati in maniera relativamente indipendente, essendo governati da principi regolativi di natura differente pur considerando le interazioni causali tra i vari livelli.
Ciò che noi percepiamo, è  emergente, ma non per questo va ignorato perché “inesistente”.
L’atteggiamento “riduzionistico” volto a negare l’emergente di fatto limiterebbe il campo di applicazione della scienza.
L’irriducibilità è alla base anche dei campi delle diverse branche della scienza, per cui  ad esempio la biologia non può essere ridotta alla chimica e questa non può essere ridotta alla fisica. Sicuramente esistono meccanismi importanti di causalità tra i vari campi della scienza, ma ciò non toglie validità conoscitiva agli studi del campo scientifico emergente rispetto a quello più fine. Insomma anche nella conoscenza l'insieme è spesso maggiore della somma delle parti.
Sembrano dunque esserci diverse capacità conoscitive a seconda dei livelli di osservazione, capacità non riproducibili e difficilmente collegabili tra i vari livelli.
Il concetto di esistenza dunque deve rimanere ai livelli epistemologici della filosofia e della metafisica. Metafisica e filosofia che non devono però essere concepite come antagoniste della scienza ma come compendio e guida per evitare che il tecnicismo e l’esasperazione metodologica creino degenerazioni non utili all'esistenza umana e alla conoscenza.

di Gandolfo Dominici

Fonti:
- Francisco Varela, “Autopoiesi ed emergenza”, in R. Benkirane -La teoria della complessità,- Bollati Boringhieri – 2007
- Astro Calisi -La neurofenomenologia e la nozione di emergenza – Il Diogene – Giugno 2008
- Elena Castellani – Emergenza e realtà – Le Scienze – settembre 2010

Ragnatela e Piramide.



Riflessione di fine serata scaturita da una sintesi di immagini dopo una riunione con Michele Barresi e un gruppo di amici : 

"E' possibile fare entrare un complesso network a forma di ragnatela (in inglese web) in una piramide? 
La mia risposta è NO a meno che non si mettano paletti (dogmi) per ridurre la ragnatela a forma di piramide. Ma se le ragnatele hanno quella forma concentrica ed interconnessa un motivo ci sarà...per chi lo sa e lo vuole capire e ragiona fuori dai paletti e dalle piramidi. 
La Ragnatela ha una gerarchia concentrica ma è diversa da quella piramidale, e come nella figura è interconessa ad altre (infinite) ragnatele."

Il "PATER NOSTER" secondo Rudolf Steiner

Il  “Padre Nostro”  ci dice Steiner in origine
"non era altro che una meditazione. La  meditazione è più basata sul pensiero, e con essa, mediante i pensieri delle grandi guide  dell' umanità, si cerca di armonizzarsi con le correnti divine che attraversano il mondo. Con la  preghiera si raggiunge lo stesso risultato in un modo più basato sul sentimento" (R.Steiner:  Il Padre nostro – Antroposofica,1994, p.7). 
Quindi ha un valora più elevato della semplice preghiera,; possiede profondi significati su cui meditare.

Secondo Steiner il “Padre nostro” si articola, dopo l’ invocazione iniziale, in sette formule:
Tre sono riferite a quanto è in potenza nell’ Io:

  •  Sé spirituale (Manas), 
  • Spirito  vitale (Buddhi)  
  • Uomo spirituale (Atman), 
quattrosi riferiscono invece invece alle “quattro parti costitutive inferiori” dell'uomo:

  • corpo fisico;
  • corpo eterico;
  • corpo astrale 
  • ego (riflesso psico-fisiologico dell’ Io). 


“Padre nostro che sei nei cieli”.  
Padre non solo mio ma di tutti gli uomini. Tutti gli uomini sono dunque miei fratelli.
“Iddio disse a Mosè: “Io sono quegli che sono”. 
Poi disse: 
"Dirai così ai figluoli d’ Israele: L’ Io sono m’ ha mandato da voi” (Es 3,14)
L’ Io-sono dunque è padre di tutti, l’ Io-sono è dunque l’ Io di tutti:  l’ Io universale.
L’ Io-sono è “nei cieli” perché è al di là della soglia che divide la sfera dell’ essere da quella dell’ esistere. Normalmente, sperimentiamo la prima durante il sonno, prima della nascita e dopo la morte, mentre sperimentiamo la seconda durante la veglia e nel corso della vita tra la nascita e la morte. L’ antichità conosceva l’ essere, ma non lo conosceva ancora come Io (come soggetto);

"Sia santificato il Tuo nome".  
“Sia santificato  l’Io conoscendolo come spirito al di là dello spazio-tempo.
“Voi siete dèi”  (Gv 10,34): 
L’ Io che abitualmente conosciamo non va infatti al di là, nello  spazio, del corpo fisico e, nel tempo, della nascita e della morte. Per questa coscienza dell’ Io  (che giudica “secondo la carne”) l’ ego è una realtà “profana” (astrattamente esistenziale), e non  uno spirito “santo”. Per “ santificare” l’ Io occorre dunque “santificare” la coscienza dell’ Io.
Lo  Spirito Santo, è “ Spirito di verità”,  spirito  gnostico
"Egli vi  insegnerà ogni cosa”, “Egli vi guiderà verso tutta la verità" - (Gv 14,26 e 16,13). 
Come nessuno  può andare al  Padre se non attraverso il  Figlio, così nessuno può andare al  Figlio se non
attraverso lo Spirito Santo
"In verità, vi dico: chi accoglie colui che io manderò, accoglie me, e chi accoglie me, riceve colui che mi ha mandato" –(Gv 13,20). 

"Venga il Tuo regno".
E’ il regno dei regni: ovvero, il regno che crea tutti i regni,  fondandone e governandone l’ armonia.
"Venga il tuo ordine": l'ordine del sentire in grado di  conoscere  il valore, il contenuto o la sostanza morale di tutto.

"Sia fatta la Tua volontà".
L’ agire spesso ci è  imposto dalla volontà della costituzione (fisica), del  temperamento (eterico) o del carattere (astrale), e non  posto dalla  volontà dell’ Io che siamo. L’ Io individuale che siamo è però l' Io universale che E'.
"E la gloria che tu mi desti, io l' ho data loro, affinché siano una sola cosa, come noi siamo una cosa sola, io in essi e tu in me"-  (Gv 17,22). 
Perché sia fatta la (vera) volontà dell’ Io individuale occorre dunque che sia fatta la
volontà dell’ Io universale. Possiamo dire perciò: “Perché sia fatta la mia volontà, voglio che sia
fatta la Tua”.
La volontà dell’ Io che l’ uomo crede sua non lo è. l'uomo deve osservare liberamente il volere dell’ Io universale che è immanente in lui.
“Dunque non son più io che vivo, ma è Cristo  che vive in me” (Gal 2,20).

“Come in cielo così in terra”.
Com’ è l’ essere (che è al di là della soglia) così dovrebbe essere l’ esistere (che è al di qua
della soglia). Senza l’ essere, l’ esistere è  “vuoto”. L' Essere riempie di "grazia" il creato che altrimenti sarebbe nulla.

“Dacci oggi il nostro pane quotidiano”.
Oltre “il cibo che dura per la vita eterna”, dacci il “cibo che perisce” (Gv 6,27): dacci cioè il
necessario per vivere nel corpo fisico, ma non per il corpo fisico (che “perisce”). Consentici,
 in altre parole di mangiare per vivere, e non di vivere per mangiare.

"Rimetti a noi i nostri debiti come noi li rimettiamo ai nostri debitori".
"In ogni scienza occulta furono sempre indicati come 'debiti' gli errori  commessi contro la comunità e derivati da manchevolezze del corpo eterico" (R.Steiner:  Il Padre nostro – Antroposofica,1994, p.17).  
"Non c' indurre in tentazione".  
"La tentazione  è ciò per cui il singolo prende su di sé una colpa  personale"  (R.Steiner:  Il Padre nostro – Antroposofica,1994, p.17).  
Le tentazioni seducono e allontanano l’ Io dalla propria meta conoscere se stesso dunque Io-sono immanente.

"Ma liberaci dal male".
Liberaci dalle conseguenze del peccato. Cioè il baratro in cui l'uomo è precipitato per non avere saputo gestire la conoscenza dell'albero della conoscenza.

       Padre che fosti, che sei e sarai
       Nella nostra più intima essenza.
         Il Tuo Nome venga da noi
         Glorificato e santificato.
         Il Tuo Regno si estenda
         Attraverso le nostre azioni
         E il nostro modo di vita.
         La Tua Volontà venga da noi
         Attuata quale Tu l’ hai posta
         Nella nostra intima essenza.
         L’ alimento dello Spirito,
         Il Pane di Vita, Tu porgi
         In sovrabbondanza per tutte
         Le mutevoli situazioni dell’ esistenza.
         Concedi che la nostra misericordia
         Verso gli altri serva da pareggio
         Dei peccati da noi compiuti
         A danno del nostro essere.
         Non lasciare che il Tentatore
         Agisca su di noi oltre   4
         La misura delle nostre forze
         Poiché in Te, o Padre santo,
         Non esiste tentazione alcuna,
         Essendo il Tentatore solo
         Illusione e inganno dal quale
         Tu ci liberi, grazie alla luce
         Della conoscenza di Te, nel cuore.
         La Tua potenza e magnificenza
         Agiscano su di noi, dall’ alto,
         Attraverso i tempi dei tempi.
         Amen.

         Rudolf Steiner   

domenica 26 giugno 2011

La Scienza Occulta di Rudolf Steiner

CARATTERE DELLA SCIENZA OCCULTA
L’antica denominazione di "Scienza occulta" viene adoperata per il contenuto di questo libro; una denominazione che produce presso uomini diversi le più opposte impressioni.
Per molti essa ha qualcosa di ripugnante; provoca l’irrisione, un sorriso di compatimento, forse anche il disprezzo.
Costoro ritengono che una concezione che assume quel nome non possa fondarsi che sopra un vacuo fantasticare, e che dietro una tale "presunta" scienza non si nasconda altro che la tendenza a rinnovare ogni sorta di superstizione, superstizione che giustamente viene respinta da chi abbia conosciuto "la vera mentalità scientifica" e uno schietto impulso alla conoscenza.
Per altri, invece, quel nome rappresenta qualche cosa che sembra loro non poter conseguire per alcun’altra via e verso la quale essi si sentono attratti da un intimo, profondo anelito di conoscenza o da una raffinata curiosità dell’anima, secondo la propria disposizione.


Fra queste due opinioni diametralmente opposte esiste tutta una scala di atteggiamenti intermedi, di accettazione o di rifiuto condizionati da ciò che ci si immagina essere il contenuto della "scienza occulta".
È innegabile che per taluno le parole "scienza occulta" hanno un suono magico, perché sembrano soddisfare la sua fatale mania di una conoscenza di qualcosa di "sconosciuto", di misterioso, anzi di confuso, conoscenza che, secondo lui, non sarebbe possibile conseguire per via naturale.
Poiché molti non vogliono appagare le aspirazioni più profonde dell’anima loro per mezzo di quanto può essere chiaramente conosciuto. È loro convincimento che, oltre a ciò che del mondo può essere conosciuto, debba esistere dell’altro, che si sottrae alla conoscenza.
Con una singolare contraddizione, ch’essi stessi non avvertono, essi rifiutano, per soddisfare le più profonde aspirazioni conoscitive, tutto ciò che "è noto", disposti ad ammettere soltanto ciò che non risulti da un’indagine naturale.
Chi parla di "scienza occulta", farà bene di tener presenti i malintesi che gli si opporranno da parte di siffatti difensori di quella scienza, difensori i quali, in fondo, non aspirano a un sapere, ma al suo contrario.

Le considerazioni che seguono sono rivolte a quei lettori, i quali non si lasciano turbare nella loro imparzialità di giudizio, dal fatto che, per ragioni diverse, un nome risveglia dei preconcetti.
Qui non si tratta di un sapere che sia, in un modo qualsiasi, "segreto", cioè conseguibile a pochi, solo per una speciale favore del destino.
Il senso da noi attribuito alla parola "occulto" potrà venire rettamente inteso, tenendo presente ciò che Goethe intendeva esprimere, quando accennava ai "manifesti misteri" dei fenomeni del mondo.
Quello che di tali fenomeni rimane "occulto", non manifesto, ove li si consideri soltanto mediante i sensi e l’intelletto ad essi legato, viene qui considerato oggetto di una conoscenza soprasensibile.


È avvenuto che taluno si opponesse al termine "scienza occulta" - quale venne usato dall’autore nelle precedenti edizioni di quest’opera - argomentando che una scienza non può essere qualcosa di "occulto" per nessuno. Se la cosa dovesse intendersi in questo senso, si avrebbe ragione di argomentare cosi; ma appunto le cose stanno diversamente.
Chi voglia ammettere come "scienza" soltanto ciò che si manifesta ai sensi e all’intelletto che li serve, non potrà evidentemente riconoscere a ciò che qui s’intende come "scienza occulta" il carattere scientifico.
Egli dovrebbe peraltro ammettere di ripudiare una "scienza occulta" sulla base di una sentenza arbitraria basata esclusivamente sopra un suo personale sentimento, non già sopra una conoscenza ben motivata.
Basta, per convincersi di ciò, riflettere all’origine e al significato della scienza nella vita degli uomini.
Non si riconosce tale origine, quanto all’essenza della scienza stessa, se si considera l’oggetto al quale la scienza si rivolge, ma la si trova bensì nell’attività dell’anima umana che si manifesta nello sforzo conoscitivo.
Occorre appunto concentrare l’attenzione sul comportamento dell’anima, in quanto acquista scienza.
Se ci si abitua a mettere in moto tale attività.soltanto quando si tratti di oggetti accessibili ai sensi, è facile acquistare l’opinione che l’essenziale sia la percezione sensoriale.
E si trascura di rilevare che, così procedendo, un certo atteggiamento dell’anima umana è stato per l’appunto applicato solamente alle manifestazioni sensibili, senza prendere in considerazione l’attività scientifica in sé stessa, prescindendo da quel particolare caso della sua applicazione.
In questo senso si parla qui di una conoscenza "scientifica" di fenomeni non sensibili; e di questi fenomeni l’attività pensante dell’uomo vuole occuparsi, come, nell’altro caso, essa si occupa dei fenomeni che sono l’oggetto della scienza naturale.


Come la "scienza naturale" non è "naturale" nel senso che essa sia "propria per natura" di ogni uomo, così l’autore non intende per "scienza occulta" una scienza che sia "nascosta", bensì una scienza che abbia per oggetto ciò che nei fenomeni è "occulto", cioè non si manifesta alla conoscenza comune: una scienza dell’occulto, del "manifesto mistero". Ma questa scienza non deve rimanere segreta per nessuno che ne ricerchi, per le vie adeguate, le conoscenze.
La scienza occulta vuole liberare l’indagine scientifica e l’attitudine scientifica (che di solito si limitano ai rapporti e al processi dei fatti sensibili) da questo loro abituale campo di applicazione, pur conservandone le caratteristiche generali di pensiero.
Essa si propone di trattare di cose non sensibili allo stesso modo con cui la scienza naturale tratta di quelle sensibili.
Mentre la scienza naturale si limita, con i suoi metodi e i suoi procedimenti di pensiero, alla sfera sensibile, la scienza occulta considera il lavoro dell’anima intorno al suo substrato naturale come una specie di auto-educazione, e vuole applicare alla sfera non sensibile ciò che da tale auto-educazione risulta.
Essa vuole procedere in modo da non trattare dei fenomeni sensibili come tali, ma del contenuto non-sensibile del mondo allo stesso modo, con cui lo scienziato naturalista tratta del contenuto sensibile.
Essa conserva del procedimento scientifico l’atteggiamento mentale, cioè proprio quello per cui la conoscenza della natura diventa scientifica.
Perciò essa può definirsi "scienza".
Chi rifletta sul significato della scienza naturale nella vita degli uomini, troverà che esso non può considerarsi esaurito nell’acquisizione di conoscenze naturali.
Infatti, queste conoscenze non potranno mai condurre ad altro che a un’esperienza di ciò che l’anima umana stessa non è.


L’elemento animico non vive in ciò che l’uomo conosce della natura, bensì nel processo del conoscere: l’anima sperimenta se stessa nel proprio applicarsi alla natura.
E in questa sua attività essa si conquista in modo vivente qualcosa che va oltre il sapere della natura, cioè uno sviluppo di se stessa sperimentato nella conoscenza della natura.
La scienza occulta vuole esplicare quello sviluppo dell’anima in domini che stanno oltre i limiti della sola natura.
Il cultore della scienza occulta non misconosce affatto il valore della scienza naturale, anzi lo riconosce più completamente dello stesso naturalista.
Egli sa che non è possibile fondare una scienza, senza i procedimenti rigorosi della scienza naturale moderna; ma gli è pure noto che questa severa mentalità scientifica, una volta conquistata, può venire serbata dalla forza dell’anima ed applicata ad altri domini.
È vero peraltro che, così facendo, si verifica qualcosa che può lasciare perplessi.
Nello studio della natura, l’anima viene guidata molto più strettamente dall’oggetto osservato, di quanto non avvenga nell’osservazione di fenomeni non sensibili.
In quest’ultimo caso essa deve possedere in misura maggiore, e per impulsi puramente interiori, la facoltà di attenersi all’essenziale della mentalità scientifica.
Siccome molti credono, inconsciamente, che ciò sia possibile soltanto sulla scorta dei fenomeni naturali, essi decidono arbitrariamente che, non appena si abbandoni tale scorta, l’anima debba brancolare nel vuoto.
Ma chi ragiona così non si è reso bene conto dell’essenza del procedi mento scientifico, e forma il proprio giudizio in base alle deviazioni che necessariamente scaturiscono da un pensare scientifico non abbastanza solido e che malgrado ciò voglia avventurarsi all’osservazione della sfera non sensibile.
In questo caso naturalmente nascono molte chiacchiere non scientifiche intorno al fenomeni soprasensibili; ma non già perché, per loro natura, non se ne possa trattare in modo scientifico, bensì perché, nel singolo caso in quest’one, faceva difetto l’auto-educazione scientifica acquistata mediante l’osservazione della natura.
Chi vuole parlare di scienza occulta deve quindi avere un vigile senso per quel che di confuso che nasce quando ci si occupa dei "manifesti misteri" del mondo, senza una mentalità scientifica.


Pure non sarebbe affatto utile il metterci a parlare qui, all’inizio di una trattazione scientifico-spirituale, di tutte le possibili aberrazioni, che, agli occhi di persone non prive di preconcetti, discreditano qualsiasi indagine in questa direzione, per il fatto che costoro, dall’esistenza di aberrazioni purtroppo numerose, deducono che tutto l’indirizzo sia ingiustificabile.
Ma l’occuparsi di questa categoria di avversari non sembra, in questa sede, poter essere fecondo di risultati, perché, da parte degli scienziati e di chi giudica la scienza occulta dal punto di vista della scienza naturale contemporanea, l’opposizione si fonda, in genere, sull’arbitrario giudizio sopra ricordato, mentre il riferimento alle aberrazioni è soltanto un pretesto, spesso magari inconsapevole.
Si potrebbe infatti muovere la giustificata obiezione che non è in alcun modo possibile lo stabilire a priori se coloro, i quali credono che altri si trovi in errore, abbiano poi quella solida base di cui abbiamo più sopra parlato.
Perciò colui che aspira a una Scienza dello Spirito non può che semplicemente esporre quello che crede poter dire.
Potranno giudicare se questa aspirazione sia giustificata, solamente coloro i quali, astenendosi da qualsiasi arbitraria sentenza, sappiano prestare ascolto alle sue comunicazioni circa i "manifesti misteri" del mondo.
Sarà peraltro suo compito il mostrare come i risultati delle sue indagini si inquadrino nelle rimanenti acquisizioni del sapere e della vita, quali opposizioni risultino possibili e quali conferme la realtà esteriore immediata della vita offra alle sue osservazioni.
Egli però non dovrebbe mai dare alla sua esposizione un carattere tale, per cui l’abilità retorica si sostituisca all’efficacia del contenuto stesso.
Nel confronti di trattazioni di scienza occulta viene mossa frequentemente l’obiezione che esse non dimostrano nulla, ma si limitano ad affermare questo o quello, come constatazioni della scienza occulta.
Ma si misconoscerà completamente il carattere delle pagine che seguono, se si crede che una sola delle affermazioni in esse contenute vadano intese in questo senso.
Ciò a cui qui si tende è lo sviluppo ulteriore delle facoltà che l’anima ha acquistato a contatto della conoscenza naturale, e la dimostrazione che un tale sviluppo conducem l’anima a fatti soprasensibili.
E si parte dalla premessa che questi fatti vengano necessariamente incontrati da chiunque sia capace di aderire a quanto viene qui esposto.


È vero peraltro che, dal momento in cui si entra nel dominio della Scienza dello Spirito, si verifica una differenza importante, in confronto alla esperienza puramente scientifica.
Nelle scienze naturali, i fatti sensibili preesistono come tali, e l’osservatore scienziato attribuisce alla attività psichica un’importanza secondaria, in confronto al decorso dei fenomeni sensibili e ai loro rapporti.
Colui che descrive i fenomeni soprasensibili deve invece mettere in primo piano questa attività dell’anima; ché il lettore perviene al fatti descritti solamente se riesce a svolgere egli stesso, in modo adeguato, tale attività.
Questi fatti non si trovano davanti alla percezione umana anche senza un’attività animica, come quelli della scienza naturale (prima, però, che questi ultimi vengano compresi); è soltanto l’attività dell’anima che ne consente la percezione.
Lo scrivente di Scienza dello Spirito presuppone quindi che il lettore proceda, insieme a lui, alla ricerca dei fatti.
La sua esposizione dovrà essere tenuta in modo da raccontare la scoperta dei fatti in questione, e non secondo criteri di arbitrio personale, ma secondo i criteri acquisiti mediante lo studio delle scienze naturali.
Perciò egli dovrà essere obbligato anche a parlare dei mezzi mediante i quali si giunge alla percezione del non-sensibile, del sopra-sensibile.
Chi si dedichi allo studio di una trattazione scientifico-spirituale, si accorgerà ben presto che essa porta all’acquisizione di concetti e idee che non si possedevano, tra altro, anche sull’essenza del concetto di "dimostrazione".
Si apprende a riconoscere che, per la scienza naturale, il "dimostrare" è qualcosa di estraneo, per così dire, al fatti descritti.
Per il pensiero scientifico-spirituale, invece, l’attività che, nella ricerca scientifica abituale, l’anima applica alla dimostrazione, si svolge già nella ricerca dei fenomeni.
Non è possibile scoprirli, se non è già di per sé dimostrativa la via che ad essi conduce.
Chi realmente percorre questa via, ha pure già sperimentato quello che ha valore di dimostrazione; una dimostrazione aggiunta dall’esterno non ha nessun valore.
Molti malintesi nascono dal mancato riconoscimento di questo carattere della scienza
occulta.


Tutta la scienza occulta deriva da due pensieri, che possono metter radice in qualsiasi uomo.
Per l’occultista quale qui lo intendiamo, questi due pensieri esprimono fatti, che possono essere direttamente vissuti se ci si serve dei mezzi giusti; per molti, invece, questi pensieri rappresentano, se non qualche cosa di cui si può addirittura "dimostrare" l’impossibilità, certo asserzioni altamente discutibili e molto contrastabili.
Questi due pensieri sono: che dietro il mondo visibile vi è un mondo invisibile, un mondo che si nasconde a tutta prima ai sensi e al pensiero legato ad essi; che l’uomo, sviluppando certe facoltà che dormono in lui, può penetrare in questo mondo nascosto.
Non esiste un simile mondo nascosto, dicono alcuni.
Non esiste che il mondo che l’uomo percepisce con i suoi sensi.
I relativi enigmi si possono risolvere per mezzo del mondo dei sensi stesso.
Anche se l’uomo è attualmente molto lontano dal poter risolvere tutti i problemi dell’esistenza, verrà bene un giorno in cui l’esperienza dei sensi, e la scienza che su essa si appoggia, potranno dare le risposte.
Altri dicono che non si può affermare che non esista un mondo nascosto dietro il mondo visibile; ma che le forze conoscitive dell’uomo non possono penetrare in quel mondo.
Esse hanno dei limiti che non possono superare.
Il bisogno della "fede" può cercar rifugio in un simile mondo, ma una vera scienza, che si fonda su fatti accertati, non può occuparsene.
Altri vedono una specie di temerarietà nell’uomo che vuol penetrare con il suo lavoro conoscitivo in un campo, in cui si deve rinunziare al "sapere", per contentarsi della "fede".
I seguaci di questa opinione credono che abbia torto l’uomo che nella sua debolezza vuol penetrare in un mondo che può appartenere solo alla vita religiosa.
Altri ancora dicono che è possibile una conoscenza comune a tutti gli uomini dei fatti del mondo sensibile, ma che riguardo alle cose ultrasensibili possono aversi solo opinioni personali dei singoli, e non si dovrebbe parlare di una certezza che abbia valore universale.
Altri infine sostengono molte cose ancora.


È possibile rendersi conto chiaramente che lo studio del mondo visibile pone all’uomo dei problemi, che non potranno mai esser risolti in base ai fatti del mondo visibile stesso.
Non saranno per tal via risolti, neppure quando la scienza di questi fatti abbia raggiunto l’estremo progresso possibile. Ché i fatti visibili accennano chiaramente, con la loro propria intima essenza, a un mondo nascosto.
Chi ciò non riconosce, chiude gli occhi a problemi che sorgono ovunque chiaramente dai fatti del mondo dei sensi.
Non  vuole  vedere certi problemi e certi enigmi, e crede perciò che a tutte le domande si possa rispondere con i fatti che cadono sotto i sensi.
Invero i problemi, che egli vuole porsi, possono essere tutti risolti con i fatti ch’egli si ripromette saranno prima o poi scoperti: su ciò possiamo essere senz’altro d’accordo.
Ma perché dovrebbe aspettarsi una risposta su certe cose anche colui che non pone nessuna domanda?
Chi tende verso la scienza occulta non dice altro se non che per lui simili domande sono naturali, e ch’esse debbono essere riconosciute come espressione pienamente giustificata dell’anima umana.
Non si può confinare la scienza entro certi limiti, proibendo all’uomo di affrontare spregiudicatamente certi problemi.
A chi sostiene che vi sono limiti alla conoscenza dell’uomo, i quali non possono essere superati, e che lo arrestano davanti a un mondo invisibile, si può rispondere: "Non v’è dubbio alcuno che per mezzo del genere di conoscenza di cui si tratta, non si può penetrare in un mondo invisibile. Chi ritiene possibile solo quel genere di conoscenza non può giungere a conclusione diversa da questa: che all’uomo è impedito di penetrare in un eventuale mondo superiore".
Ma possiamo anche soggiungere: "È possibile sviluppare un altro genere di conoscenza e questo ci introduce nel mondo soprasensibile".


Se si asserisce impossibile questo altro genere di conoscenza, si arriva a un punto di vista dal quale ogni discorso circa un mondo invisibile appare come completamente assurdo.
Per una simile asserzione, di fronte a un giudizio spassionato, non può però affacciarsi altro motivo se non quello che all’assertore è sconosciuto l’altro genere di conoscenza.
Ma come si può mai giudicare di una cosa che si ammette di non conoscere?
Un pensare obiettivo deve professare il principio, che si può parlare solo di ciò che si conosce e che non si può asserire nulla su ciò che non si conosce.
Può consentire che uno abbia il diritto di parlare di quanto ha sperimentato, ma non che uno abbia il diritto di dichiarare impossibile ciò che non conosce o che non vuol conoscere.
Non si può negare ad alcuno il diritto di non interessarsi al soprasensibile; ma non potrà esserci mai un buon argomento per cui uno si dichiari competente a giudicare, non solo di ciò ch’egli può sapere, ma anche di tutto ciò che "un uomo" non può sapere.
A coloro che considerano come temerarietà entrare nel campo del soprasensibile, l’occultista mostra semplicemente che ciò si può fare, e che sarebbe un peccato lasciare incolte le facoltà largite all’uomo, anziché svilupparle ed usarle.
Chi poi crede che le vedute circa il mondo invisibile debbano far parte unicamente delle opinioni e dei sentimenti personali, rinnega ciò che vi è di comune in tutti gli esseri umani.
Se anche può essere giusto, che ognuno debba trovare in sé stesso il modo di penetrare in queste cose, è un fatto che tutti quegli uomini che vanno abbastanza avanti, pervengono circa queste cose non a risultati diversi, ma a risultati uguali.
La differenza si riscontra solo fino, a che gli uomini si vogliono avvicinare alle più alte verità, non per una via scientificamente fondata, ma per altre vie arbitrarie.
E d’altra parte bisogna senz’altro ammettere che la giustezza della via seguita dalla scienza occulta non può essere riconosciuta che da coloro che hanno la volontà di immedesimarsi nella sua peculiarità.
La via alla scienza occulta sarà trovata al momento opportuno da ogni essere umano che partendo dal visibile riconosce (o anche solo suppone o sospetta) l’esistenza di qualche cosa di nascosto, e che, dalla coscienza che le forze conoscitive sono suscettibili di sviluppo, è portato a sentire che il nascosto gli si può svelare.


All’uomo, che attraverso queste esperienze dell’anima arriva alla scienza occulta, essa non apre soltanto la prospettiva di trovare la risposta alle domande affacciate dal suo bisogno di conoscenza, ma anche la prospettiva, affatto diversa, di poter superare tutto ciò che ostacola e indebolisce la vita.
E, in un senso più elevato, si ha un indebolimento della vita, " l’anzi una morte dell’anima, quando l’uomo si vede costretto a volger le spalle al soprasensibile, o a rinnegarlo.
E, in certe circostanze, quando l’uomo perde la speranza che l’invisibile gli venga rivelato, si ha vera disperazione.
Questa morte e questa disperazione, nelle loro molteplici forme, s’impiantano entro l’anima anche come avversari di ogni sforzo verso la scienza occulta.
Entrano in gioco quando si dilegua l’intima forza dell’uomo.
Allora ogni forza di vita gli deve essere fornita dal di fuori, se egli debba possederne alcuna.
Egli percepisce le cose, le entità e i processi che si affacciano ai suoi sensi, e li anatomizza con il suo intelletto.
Essi gli procurano gioia e dolore; lo spingono alle azioni di cui è capace.
Per un po’di tempo egli potrà andare avanti così; ma poi arriverà ad un punto in cui interiormente morirà.
Ché quanto in tal modo può essere ricavato dal mondo a vantaggio dell’uomo si esaurisce.
Questa non è un’asserzione che derivi dall’esperienza personale di un singolo, ma è qualcosa che risulta dalla considerazione spregiudicata di tutta la vita umana.
Ciò che preserva da simile esaurimento è quello che sta nascosto nel profondo delle cose.
Se si spegne nell’uomo la forza di discendere in queste profondità per estrarne sempre
nuova forza di vita, poco a poco anche la parte esteriore delle cose si dimostra incapace di riuscire vivificante.
E ciò non riguarda solamente il singolo uomo, il suo bene e il suo male personale.


Appunto nella scienza occulta l’uomo acquista la certezza che, considerato da un punto di vista più alto, il bene ed il male dei singoli è intimamente collegato con la salvezza e con la rovina del mondo intiero.
Vi è un sentiero, per il quale l’uomo arriva a conoscere ch’egli arreca un danno al mondo intiero, e a tutti gli esseri che sono in esso, quando non sviluppa in modo giusto le proprie forze.
Se l’uomo rovina la sua vita perdendo la connessione con il soprasensibile, egli non solo distrugge entro di sé qualche cosa la cui scomparsa può spingerlo con il tempo alla disperazione, ma egli crea, con la sua debolezza, un ostacolo allo sviluppo dell’intiero mondo nel quale vive.
L’uomo può ingannarsi: può credere che non vi sia un invisibile, e che in quello che si rivela ai sensi e all’intelletto sia contenuto tutto ciò che può esistere.
Ma tale illusione riesce ad ingannare solo la superficie della coscienza, non il fondo.
Il sentimento e il desiderio non si adattano a questa ingannevole credenza, e in un modo o in un altro si rivolgeranno sempre all’invisibile.
Quando ciò venga loro impedito, trascineranno l’uomo nel dubbio, nell’incertezza, nella disperazione.
Una conoscenza, la quale palesi le cose nascoste, è atta a vincere ogni sfiducia, ogni incertezza, ; ogni disperazione, tutto ciò - in breve - che indebolisce la vita e la rende incapace di compiere la sua necessaria funzione nell’universo.
Questo è il ricco frutto della conoscenza spirituale: essa dà forza e consistenza alla vita, oltre a soddisfare il desiderio di conoscenza.
La fonte, a cui questa conoscenza attinge forza per il lavoro e fiducia per la vita, è una fonte inesauribile.
Chiunque abbia una volta trovato veramente tale sorgente, ogni volta che ricorrerà di nuovo ad essa, ne partirà rinvigorito.
Vi sono uomini che non vogliono sapere di tali conoscenze, proprio perché in ciò che abbiamo ora detto vedono già qualche cosa di malsano.
Per quanto riguarda la parte superficiale ed esteriore della vita hanno ragione.
Non vogliono che si tolga valore a quello che la vita presenta nella cosiddetta realtà.


Vedono debolezza nell’uomo che volta le spalle alla realtà, e cerca la sua salute in un mondo nascosto, che per essi equivale a un mondo della fantasia e del sogno.
E se in questa ricerca scientifico-spirituale non si vuole cadere in uno stato di morboso vaneggiamento e di prostrazione, si deve riconoscere che tali obiezioni sono parzialmente giustificate, in quanto riposano sopra un giudizio sano, che, se porta ad una mezza verità, e non ad una verità intiera, è solo perché invece di penetrare nel fondo delle cose rimane alla loro superficie.
Qualora un’aspirazione alla conoscenza soprasensibile fosse atta a indebolire la forza di vivere e ad allontanare l’uomo dalla vera realtà, queste obiezioni sarebbero certamente sufficienti a scalzare dalle fondamenta tale indirizzo spirituale.
Ma anche di fronte a simili atteggiamenti, la scienza occulta non batterebbe la via giusta se volesse difendersi con i metodi ordinari.
Anche in questo caso può parlare solo attraverso ciò ch’essa dà a chi la coltiva: cioè vera forza e vera intensità di vita.
Un sano sforzo di conoscenza spirituale non può rendere l’uomo estraneo al mondo, né farne un sognatore, in quanto esso gli infonde forze da quelle medesime fonti della vita, dalle quali egli trae origine, quanto alla sua parte animico-spirituale.
Anche altri ostacoli alla comprensione si frappongono a molti uomini, quando intraprendono lo studio della scienza occulta.
È infatti bensì vero i che la scienza occulta dà la descrizione di esperienze dell’anima, seguendo le quali il lettore può muoversi verso i contenuti soprasensibili del mondo.
Ma in pratica, ciò deve pure considerarsi come una specie di ideale.
Il lettore deve, in un primo tempo, accogliere come comunicazioni una somma di esperienze soprasensibili, che egli non è ancora in grado di provare personalmente.
Non è possibile altrimenti, e anche in questo libro le cose andranno così.
Verrà descritto ciò che l’autore crede di sapere della natura dell’uomo, e del suo comportamento fra la nascita e la morte, nonché nello stato incorporeo, nel mondo spirituale; si descriverà inoltre l’evoluzione della terra e dell’umanità.
Potrebbe perciò apparire che si pretendesse proprio di comunicare come dogmi un certo numero di conoscenze presunte, esigendo una fede fondata sul l’autorità.
Ma questo non è il caso.


Infatti, ciò che può sapersi dei fenomeni soprasensibili dei mondo vive come contenuto vivente dell’anima in chi qui Il espone; e l’immedesimarsi in questo contenuto accende nell’anima del lettore gli impulsi che conducono verso i diversi fatti soprasensibili.
Nella lettura di conoscenze scientifico-spirituali si vive in modo diverso che in quella di fatti sensibili.
In quest’ultimo caso, infatti, si leggono comunicazioni intorno al mondo sensibile; mentre, se si leggono nel giusto modo comunicazioni intorno a fatti soprasensibili, ci si trova a vivere entro il flusso dell’esistenza spirituale: accogliendo i risultati, si trova pure il proprio cammino che ad essi conduce.
È vero che questo comportamento spesso non viene a tutta prima notato dal lettore: ci si immagina l’ingresso nel mondo spirituale troppo simile a un’esperienza sensibile, e perciò si trova che l’esperienza che, nel leggere, si ha di quel mondo è troppo simile al pensiero.
Ma quando lo si accoglie veramente nel pensiero, ci si muove già nel mondo spirituale, e occorre solamente ancora rendersi conto che si ha già sperimentato senza accorgersene, ciò che si riteneva di avere solo ricevuto come comunicazione intellettuale.
Si conseguirà piena chiarezza circa questa esperienza se si applicherà praticamente quella "via" alle conoscenze soprasensibili, che viene descritta nell’ultima parte di questo libro.
Si potrebbe credere che sia più giusto l’inverso, cioè di far precedere la descrizione di questa via; ma questo non è il caso.
Per colui che, senza rivolgere lo sguardo dell’anima a determinati fatti del mondo soprasensibile, si mette solamente a fare "esercizi" per penetrarvi, quel mondo rimane un caos indeterminato e confuso.
Si apprende a familiarizzarsi con quel mondo, in certo senso ingenuamente, in quanto si viene istruiti intorno a certi fatti che vi si svolgono; poi ci si rende conto di come si pervenga in piena coscienza, e abbandonando l’ingenuità, a quelle esperienze di cui prima si è ricevuta comunicazione.
Se si penetra più a fondo nello studio della scienza occulta, ci si persuaderà che solo questa può essere una via sicura verso la conoscenza soprasensibile; e si riconoscerà pure che è ingiustificata l’opinione che le conoscenze soprasensibili agiscano dapprima come dogmi, per via di suggestione.


Ché il contenuto di quelle conoscenze viene conquistato in una vita animica tale, da togliere ad esso qualsiasi potenza suggestiva, lasciandogli solo la possibilità di parlare al prossimo per la medesima via, per la quale ogni altra verità parla al suo giudizio razionale.
Che il lettore non si accorga a tutta prima di vivere nel mondo spirituale, non dipende da un inconscio effetto di suggestione, bensì dalla finezza e dalla novità delle inconsuete, esperienze fatte nella lettura.
Così, accogliendo per la prima volta le comunicazioni della prima parte di questo libro, si diviene dapprima partecipi dell’altrui conoscenza del mondo soprasensibile; mediante la pratica esecuzione delle operazioni animiche descritte nella seconda parte, si acquista una conoscenza autonoma di quel mondo.
Nessun vero scienziato potrà trovare contraddizione, seconda lo spirito e secondo il vero senso, fra la sua scienza basata sui fatti del mondo visibile e il modo d’indagare della scienza occulta.
Ogni scienziato si serve di certi strumenti e di certi metodi; costruisce gli strumenti elaborando ciò che gli dà la "natura".
Anche la scienza occulta si serve di uno strumento, e questo è l’uomo stesso.
E tale strumento pure deve essere, prima elaborato per l’indagine superiore.
Bisogna che le capacità e le forze date all’uomo dalla natura, senza ch’egli vi abbia cooperato, siano prima trasformate in capacità e in forze superiori.
Per tal modo l’uomo può far di sé stesso lo strumento adatto alla investigazione dei mondo invisibile.

Per continuare a leggere l'intero libro:
http://www.cazzanti.net/archivi/letture/Rudolf%20Steiner/Rudolf%20Steiner%20-%20La%20Scienza%20Occulta.pdf

sabato 25 giugno 2011

Dioniso e la via della "mano sinistra" di Julius Evola

Quali sono tratteggiati nell'esposizione di una delle prime opere, assai suggestiva, di Federico Nietzsche - La nascita della Tragedia - i concetti di Dioniso e di Apollo hanno una scarsa corrispondenza col significato che queste entità ebbero nell'antichità, specie in una loro comprensione esoterica. Ciò nondimeno qui ci rifaremo proprio a quella loro assunzione nietzschiana come punto di partenza, al fine di definire degli orientamenti esistenziali fondamentali. Cominceremo col presentare un mito. 
Immerso nella luminosità e nell'innocenza favolosa dell'Eden l'uomo era un beato e un immortale. In lui fioriva l'Albero della Vita e lui stesso era questa vita luminosa. Ma ora sorge una nuova, inaudita vocazione: la volontà di un dominio sulla vita, il superamento dell'essere, per il potere di essere e non essere, del Si e del No. A ciò si può riferire l'Albero del Bene e del Male. In nome di esso l'uomo si stacca dall'Albero della Vita, il che comporta il crollo di tutto un mondo, nel lampeggiamento di un valore che dischiude il regno di colui che, secondo un detto ermetico, è superiore agli stessi dèi in quanto con la natura immortale, a cui questi sono astretti, ha nella sua potenza anche la natura mortale, epperò con l'infinito anche il finito, con l'affermazione anche la negazione (tale condizione fu contrassegnata dall'espressione di "Signore delle Due Nature"). Ma a questo atto l'uomo non fu sufficiente; lo prese un terrore, da cui fu travolto e spezzato. Come lampada sotto uno splendore troppo intenso - è detto in un testo cabbalistico -, come un circuito percosso da un potenziale troppo alto, le essenze si incrinarono. A ciò va rapportato il significato della "caduta" e della stessa "colpa". Allora, scatenate da questo terrore. le potenze spirituali che dovevano essere serve, immediatamente si precipitarono e ghiacciarono in forma di esistenze oggettive autonome, fatali. Sofferta, resa esterna e fuggente a se stessa, la potenza prese le specie di esistenza oggettiva autonoma, e la libertà - l'apice vertiginoso che avrebbe instaurata la gloria di un vivere superdivino - si fece la contingenza indomabile dei fenomeni fra i quali l'uomo vaga, trepida e misera ombra di sé stesso. Si può dire che questa fu la maledizione scagliata dal "Dio ucciso" contro colui che fu incapace di assumerne l'eredità
Con Apollo, inteso sempre in termini nietzschiani, si sviluppa ciò che deriva da questo venir meno. Nella sua funzione elementare, deve essergli riferita la volontà che si scarica di sé stessa, che non vive più se stessa come volontà, sibbene come "occhio" e come "forma" - come visione, rappresentazione, conoscenza. È appunto l'artefice del mondo oggettivo, il fondamento trascendentale della "categoria dello spazio". Lo spazio, inteso come il modo dell'esser fuori, come ciò per cui le cose non sono più vissute in funzione di volontà bensì sotto le specie di immagini e di visività, è l'oggettivazione primordiale della paura, dell'incrinarsi e dello scaricarsi della volontà: trascendentalmente, la visione di una cosa è la paura e la sofferenza riguardanti quella cosa. E il "molteplice", l'indefinita divisibilità proprie alla forma spaziale ne riconfermano il significato, riflettendo appunto il venir meno della tensione, il disgregarsi dell'unità dell'atto assoluto (1). 
Ma come l'occhio non ha coscienza di sé, se non in funzione di ciò che esso vede, del pari l'essere, reso esteriore a sé stesso dalla funzione "apollinea" dello spazio, è essenzialmente dipendente, legato: è un essere che si appoggia, che trae da altro la propria consistenza. Questo bisogno di appoggio genera la "categoria del limite": la tangibilità e solidità delle cose materiali ne sono l'incorporazione, quasi la sincope stessa della paura che arresta l'essere insufficiente sul limitare del mondo "dionisiaco" . Perciò la si potrebbe chiamare il "fatto" di questa Paura, di cui lo spazio è l'atto. Come caso particolare del limite, si ha la legge. Mentre colui che è da sé stesso non ha paura dell'infinito, del caos, di ciò che i Greci chiamavano l'apeiron, perché anzi vi vede riflessa la propria natura più profonda di ente sostanziato di libertà, colui che trascendentalmente viene meno ha orrore per l'infinito, fugge da esso e cerca nella legge, nella costanza delle sequenze causali, nel prevedibile e nell'ordinato un surrogato di quella certezza e di quel possesso da cui è decaduto. La scienza positiva e ogni morale potrebbero, in un certo senso, rientrare in una non diversa direzione.


La terza creatura di "Apollo" è la finalità. Per un dio, il fine non può avere alcun senso, dato che egli fuori di sé non ha nulla - né un buono, né un vero, né un razionale, piacevole o giusto - da cui trarre norma ed essere mosso, ma buono, vero, razionale, piacevole e giusto si identificano con ciò che egli vuole. semplicemente in quanto lo vuole. In termini filosofici, si può dire che della sua affermazione, la "ragion sufficiente" è l'affermazione stessa. Invece gli esseri esteriori a sé stessi per agire hanno bisogno di una correlazione, di un movente dell'azione o, per meglio dire, della parvenza, di un movente dell'azione. Infatti in casi decisivi, fuori da contesti banalmente empirici, l'uomo non vuole una cosa perché la trova, ad esempio, giusta o razionale, ma la trova giusta e razionale semplicemente perché la vuole (la stessa psicanalisi ha dato, a tale riguardo, alcuni contributi validi). Ma di scendere nelle profondità in cui il volere o l'impulso nudamente si afferma, egli ha paura. Ed ecco che la prudenza "apollinea" preserva dalla vertigine di qualcosa che possa accadere senza avere una causa e uno scopo, ossia unicamente per sé stessa, e secondo lo stesso movimento con cui liberò la volontà in una visività, fa ora apparire, attraverso le categorie della "causalità" e della cosiddetta "ragion sufficiente", le affermazioni profonde in funzione di scopi, di utilità pratiche, di motivi ideali e morali che le giustifichino, su cui si appoggino. 
Così tutta la vita della gran massa degli uomini prende il senso di un fuggire dal centro, di una volontà di stordirsi e di ignorare il fuoco che arde in loro e che essi non sanno sopportare. Tagliati fuori dall'essere, essi parlano, si agitano, si cercano, si amano e si accoppiano in richiesta reciproca di conferma. Moltiplicano le illusioni e così erigono una grande piramide di idoli: è la costituzione della società, delle moralità, delle idealità, delle finalità metafisiche, del regno degli dèi o di una tranquillizzante provvidenza, per supplire all'inesistenza di una ragione centrale, di un significato fondamentale. Tutte "macchie luminose a soccorso dell'occhio offeso per aver fissato nell'orribile tenebra" - per usare le parole di Nietzsche. 
Ora l'altro - l'oggetto, la causa, la ragione, ecc. - non esistendo in sé, essendo soltanto una apparizione simbolica del deficiere della volontà a sé stessa, con l'atto in cui questa chiede ad altro la sua conferma, in realtà va solo a confermare la sua stessa deficienza (2). Così l'uomo vaga, simile a colui che insegue la propria ombra, eternamente assetato e eternamente deluso, creando e divorando incessantemente forme che "sono e non sono" (Plotino). Così la "solidità" delle cose, il limite apollineo, è ambiguo; esso viene meno alla presa e rimette ricorrentemente ad un punto successivo la consistenza che esso sembrava garantire e con cui lusingava il desiderio e il bisogno. Donde, oltre quella dello spazio, la categoria del tempo, la legge di un divenire di forme che sorgono e si dissolvono - indefinitamente -, perché per un solo istante di arresto, per un solo istante in cui non agisse, non parlasse, non desiderasse, l'uomo sentirebbe crollare tutto. Così la sua sicurezza fra le cose, le forme e gli idoli è spettrale quanto quella di un sonnambulo che va sull'orlo di un abisso (3). Tuttavia questo mondo può non essere l'ultima istanza. Non avendo infatti radice in altro, essendone soltanto l'Io il responsabile e tenendone egli entro di sé le cause, egli ha in via di principio la possibilità di operarne la risoluzione


Così è attestata una tradizione riguardante la grande Opera, la creazione di un "secondo Albero di Vita". Questa è l'espressione usata da Cesare della Riviera, nel suo libro Il mondo magico degli Heroi (2a ed. Milano, 1605), dove tale compito è associato alla "magia" e in genere alla tradizione ermetica e magica. Ma in questo contesto è interessante considerare ciò che è proprio alla cosiddetta "Via della Mano Sinistra". Essa comporta il coraggio di strappar via i veli e le maschere con cui "Apollo" nasconde la realtà originaria, di trascendere la forme per mettersi in contatto con l'elementarità di un mondo in cui bene e male, divino e umano, razionale e irrazionale, giusto e ingiusto non hanno più alcun senso. Nel contempo, essa comporta il saper portare all'apice tutto ciò da cui il terrore originario è esasperato e che il nostro essere naturalistico e istintivo non vuole; saper rompere il limite e scavare sempre più profondamente, alimentando la sensazione di un abisso vertiginoso, e consistere, mantenersi nel trapasso, da cui altri  sarebbero spezzati. Da qui la possibilità di stabilire una connessione anche col dionisismo storico, a tale riguardo entrando in questione non quello "mistico" e "orfico", bensì quello tracio, che ebbe alcuni aspetti selvaggi, orgiastici e distruttivi. E se Dioniso si rivela nei momenti di crisi e di crollo della legge, anche la "colpa" può rientrare in questo campo esistenziale; in essa il velo apollineo si squarcia e, messo di faccia alla forza primordiale, l'uomo giuoca la partita della sua perdizione o del suo farsi superiore a vita e a morte
È interessante che il termine tedesco per delitto comprenda il significato di uno spezzare (ver-brechen). Un atto lo si può continuare a chiamare colpevole in quanto è un atto di cui si ha paura, che non ci si sente di poter assumere assolutamente, per cui si viene meno ad esso, che incoscientemente giudichiamo essere qualcosa di troppo forte per noi. Ma una colpa attiva, positiva. ha qualcosa di trascendente. 
Novalis ebbe a scrivere: 
Quando l'uomo volle divenire Dio, egli peccò, quasi che questa ne fosse la condizione. 
Nei misteri mithriaci la capacità di uccidere o di assistere impassibili ad una uccisione (anche se simulata) costituiva una prova iniziatica. Allo stesso contesto potrebbero essere riportati certi aspetti dei riti sacrificali, quando la vittima veniva identificata con la stessa divinità, eppure il sacrificatore doveva abbatterla affinché, superiore alla maledizione e alla catastrofe, in lui - ma anche nella comunità che in lui magicamente convergeva - si liberasse e passasse l'assoluto: la trascendenza nella tragicità del sacrificio e della colpa. Ma l'atto può anche portarsi su sé stessi, in alcune varietà della "morte iniziatica". Far violenza alla vita in sé, nell'evocazione di qualcosa di elementare. 
Così la via che in alcune forme dello yoga tantrico si apre a kundalini viene chiamata quella in cui "divampa il fuoco della morte". L'atto tragico del sacrificatore qui si interiorizza e diviene la pratica con la quale la stessa vita organica nella sua radice viene privata d'ogni appoggio, viene sospesa e trascinata di là da sé lungo la "Via Regia" della cosiddetta sushumnâ, "divoratrice del tempo". 
È' noto che storicamente il dionisismo ha potuto associarsi a forme di scatenamento frenetico, distruttivo e orgiastico, come nel tipo classico della baccante e del baccante (Dioniso = Bacco), della menade e del coribante. Ma qui è difficile separare ciò che può rifarsi alle esperienze dianzi accennate, da fenomeni di possessione, di invasamento, specie quando non si tratta di forme istituzionalizzate e legantesi ad una tradizione. Comunque è sempre da ricordare che qui ci si trova sulla linea della "Via della Mano Sinistra", la quale costeggia gli abissi, e andar sulla quale, è detto in alcuni testi, rassomiglia all'andare su di un fil di spada. Il presupposto, sia nel campo della visione (aprovvidenziale) della vita, sia di questi comportamenti è la conoscenza del mistero della trasformazione del veleno in farmaco, la quale costituisce la forma più alta dell'alchimia. 


Note 
(1) In questo contesto si potrebbe ricordare la teoria di Henri Bergson, il quale spiega lo spazio appunto come "il disfarsi di un gesto", con un processo inverso a quello onde molteplici elementi in uno slancio sono raccolti e fusi insieme e in una semplicità qualitativa. 
(2) A ciò si potrebbe associare il senso più profondo della dottrina patristica, secondo la quale il corpo, il veicolo materiale, sarebbe stato creato al momento della "caduta" onde impedire l'ulteriore precipitare delle anime (cfr. per es. ORIGENE, De princip.,I, 7, 5). Apollo è un tale dio prudente. Inoltre si pensi ad una paralisi dovuta ad uno spavento: è come un ritrarsi, un gettarsi indietro dell'Io, per via del quale ciò che era dominato e compreso organicamente come un corpo vivo e pulsante si fa cosa inerte, rigida, estranea. Il mondo oggettivo è il nostro "grande corpo" paralizzato - congelato o fissato dalla condizione del limite, attraverso la paura. 
(3) Cfr. C. MICHELSTAEDTER, La persuasione e la retorica, parte II e passim.