Gli antichi che per quanto possibile volevano spiegare con un discorso razionale le proprietà dell'essere incorporeo, quando lo chiamarono "uno", subito aggiunsero "tutto", conformandosi a ciò che in qualche modo rappresentava l'unità delle cose conosciute per sensazione. Ma quando si accorsero che tale unità era qualcosa di diverso, giacché
questa entità complessiva "uno-tutto" non la vedevano nel sensibile, congiunsero all'"uno-tutto" l'"uno in quanto uno", perché capissimo che nell'essere l'"esser tutto" non è qualcosa di composto e ci astenessimo dall'idea di una somma. E quando dissero che è lo stesso ovunque, aggiunsero che non è in alcun luogo. E quando dissero che è in tutte le cose e in ognuna di esse, nella misura in cui una cosa parziale può adeguatamente accoglierlo, aggiunsero che è un "tutto intero in un tutto intero". Insomma ce l'hanno mostrato attraverso le massime contraddizioni prese insieme, affinché ne bandissimo le rappresentazioni immaginifiche che derivano dai corpi e oscurano le proprietà conoscitive dell'essere.