
Esiste qualcosa oltre i numeri Reali?
La domanda sembra metafisica, e forse lo è. E' come domandarisi esiste qualcosa oltre la realtà?
Ebbene la matematica ci dice che esistono!
Questi numeri sono detti immaginari e l'unità immaginaria è rappresentata con la lettera "i"; essi sono applicati in vari campi dalla fisica (in meccanica quantistica), in ingegneria, elettronica, per la loro utilità nel rappresentare onde elettromagnetichee correnti elettriche ad andamento temporale sinusoidale.
La base dei numeri "non reali" o "immaginari" è la radice del numero negativo -1. Calcolare tale radice significa cercare quel numero che, moltiplicato per se stesso, dà come valore proprio -1. Sappiamo, tuttavia, che il prodotto tra due numeri identici (non nulli) è sempre un numero positivo. Il numero che stiamo cercando dunque "non esiste".
Ma allora che ne è della "certezza" e della scientificità della matematica? Quella per cui 2+2 fa sempre 4!?
Una cosiderazione che può essere fatta al riguardo è che 2+2=4 non è una verita assoluta trascendente della matematica bensì una condizione che si realizza in un determinato campo di osservazione che ha un determinato di densità e osservato da un punto di vista finito e non infinito. Tali condizioni non sarebbero dunque assolute ma realtive all'osservatore, alla sua percezione al suo IO. L'IO diviene dunque DIO.
Scrisse Evola:
"Allora occorre iintendere l'individuo non come un che di rigido, fissato una volta per tutte in certe capacità, bensì come potenza infinita di sviluppo ed affermare che un assoluto sapere ha per condizione l'estendimento affettivo di una sufficiente attività dell'Iosu tutto quel mondo, che è il suo mondo; conseguentemente, che il punto dell'incondizionata certezza si muta con quello dell'autarchia e dell'assoluta potenza, folgorante da una progressiva affermazione dell'Iodi là dell'amorfa ed obliqua sua vita quotidiana. La teoria dell'assoluto sapere, svolta conseguentemente, deve dunque trapassare nella magica poichè, nell'altro caso non potrebbe conservare neppure una delle sue posizioni." J. Evola - Saggi sull'Idealismo Magico - ed. Mediterranee - 20'6 p.49
Lo scrittore Robert Musil nel suo romanzo I turbamenti del giovane Törless (1906) fa riflettere il suo protagonista sui numeri immaginari e sul loro valore simbolico. Törless non capisce cosa siano e un altro ragazzo dell'istituto cerca di spiegarglielo.
«Ehi, tu l’hai capita bene poco fa?»
«Che cosa?»
«La storia dei numeri immaginari».
«Sì. Non è poi così difficile. Bisogna solo ricordare che l’unità di calcolo è data dalla radice quadrata di meno uno».
«Ma è proprio questo il punto. Quella radice non esiste. Qualsiasi numero, che sia negativo o positivo, elevato al quadrato dà un valore positivo. Per cui non può esserci un numero reale che sia la radice quadrata di qualcosa di negativo».
«Giustissimo; ma perché non si dovrebbe tentare ugualmente di applicare l’operazione dell’estrazione della radice quadrata anche a un numero negativo? Naturalmente questo non potrà dare alcun valore reale, e infatti anche per questo il risultato è detto immaginario. È come se si dicesse: qui di solito si siede sempre un tale, perciò mettiamoci anche oggi una seggiola; e se anche fosse morto nel frattempo, facciamo come se venisse».
«Ma come si può se si sa con certezza, con matematica certezza, che è impossibile?»
«Appunto, si fa come se fosse possibile. Un qualche risultato ne uscirà. In fondo, con i numeri irrazionali non è la stessa cosa? Una divisione che non finisce mai, una frazione il cui valore non risulterà mai e poi mai per quanto tu continui a calcolare. E che mi dici, poi, del fatto che due parallele si devono incontrare all’infinito? Io credo che a essere troppo scrupolosi la matematica finirebbe per non esistere più».
«Questo è vero. Se uno se l’immagina così, è davvero bizzarra. Ma la cosa singolare è proprio che ciononostante con quei valori immaginari o comunque impossibili si possono fare calcoli perfettamente reali e raggiungere alla fine un risultato concreto!»
«Beh, per arrivare a questo i fattori immaginari devono elidersi a vicenda durante il calcolo».
«Sì, sì, tutto quello che dici lo so anch’io. Ma pure non resta un che di curioso in tutta la faccenda? Come posso spiegarmi? Prova a pensarla così: in un calcolo del genere, tu all’inizio hai dei numeri solidissimi, in grado di quantificare metri, pesi o qualsiasi altro oggetto concreto, comunque numeri reali. Alla fine del calcolo, lo stesso. Ma l’inizio e la fine sono tenuti insieme da qualcosa che non c’è. Non è un po’ come un ponte che consti soltanto dei piloni iniziali e finali, e sul quale tuttavia si cammina sicuri come se fosse intero? Un calcolo del genere mi dà il capogiro; come se un pezzo del cammino andasse Dio sa dove. Ma la cosa davvero inquietante per me è la forza insita in questi calcoli, una forza capace di sorreggerti fino a farti arrivare felicemente dall’altra parte». Robert Musil, I turbamenti del giovane Törless, (1906) Milano, Rizzoli, 1981
Dunque riflettendo:
Se i numeri immaginari hanno un’utilità reale allora devono esistere, le soluzioni che ne derivano sono concrete e visibili nella nostra sfera di percezione, da ciò ne deriva che qualcosa che "apparentemente" non esiste per la nostra percezione del "reale" in realtà esiste... quindi il metafisico (o Dio) esiste e anche se non lo percepiamo lo possiamo calcolare. Il nostro Io attraverso la matematica dunque arriva ad estendersi oltre la nostra percezione della realtà.
di Gandolfo Dominici