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mercoledì 11 maggio 2011

Alchimia e Psiche

 (Michael Maier- Atalanta Fugiens Emblema XLV, 1618)
Carl Gustav Jung osservò che nei sogni dei suoi pazienti apparivano immagini e simboli tipici delle religioni orientali e dell’Alchimia, nonostante questi non conoscessero tali discipline. Fu così che Jung decise di occuparsi di Alchimia.
Jung comprese subito che l’obiettivo dell’alchimia non é mai stato quello della moderna chimica, ma tutt’altro.
Fino al XVII secolo l’alchimia era una conoscenza “segreta” che si sviluppava in laboratorio e le cui comunicazioni erano criptate con simboli e circolavano tra pochi adepti.
Jung intuì che sia la “segretezza” che il lavoro personale in laboratorio erano elementi imprescindibili per la comprensione di questa disciplina. La conoscenza segreta sulla trasmutazione era, infatti, in realtà una conoscenza inconscia o semiconscia sulle trasformazioni psicologiche che avvenivano nell’alchimista stesso durante l’esecuzione del processo alchemico in laboratorio. La vera natura di questi processi interiori sfuggiva però all’alchimista,  ecco dunque il bisogno di proiettarli sulle sostanze in modo da poterli "vedere" rappresentati come simboli.
Una erudizione troppo dettagliata erudizione  sarebbe stata di intralcio per il meccanismo analogico di proiezione nei materiali pertanto ogni testo o descrizione del procedimento era volutamente  poco chiaro, con definizioni sempre diverse e imprecise. L’alchimia deve essere vissuta, sentita e intuita e non può apprendere questo dai libri.
"Molti alchimisti [...] erano [...] convinti di avere solo a che fare con sostanze chimiche, ma non mancavano quelli che s’impegnavano nell’attivita di laboratorio [...] per studiarne principalmente l’effetto psichico. Dai testi e evidente che ne erano consapevoli, a tal punto da disprezzare gli ingenui fabbricanti d’oro definendoli bugiardi, truffatori e fuorviati [...]. Lo studio della materia era condotto seriamente allo scopo di avanzare nella conoscenza della trasformazione chimica, ma al tempo stesso era [...] la raffigurazione di un processo psichico parallelo che poteva essere proiettato tanto più facilmente nella chimica sconosciuta della materia, proprio perché era un procedimento naturale inconscio, alla stessa stregua della trasformazione misteriosa della sostanza"
(Jung - Psicologia e Alchimia).

L’alchimista in laboratorio sperimentava visioni oniriche e ipnagogiche (quelle che si formano tra il sonno e la veglia). Tali visioni per Jung  per erano esperienze personali:
"Una notte mi svegliai e vidi ai piedi del letto, immerso in una chiara luce, il Crocifisso. Non mi apparve del tutto a grandezza d’uomo, ma era molto nitido e vidi che il suo corpo era d’oro verdastro. Era una visione splendida, eppure mi spaventai per cio che vidi. Le visioni per me non sono niente di nuovo, mi capita spesso di vedere immagini ipnagogiche molto plastiche"
(citato in H. Gebelen – Alchimia)

Per Jung il lavoro alchemico è un processo di ricerca di se stessi in se stessi. Tale processo inizia con l’accettazione dell’inconscio, del lato oscuro, che va  considerato come parte della persona che prima conosceva solo il lato chiaro e socialmente accettato.
L’inconscio deve essere accettato come il conscio. Questa fase si rifà alla Nigredo alchemica. L’annerimento dunque come considerazione del celato dell’inconscio.
L’inconscio per Jung non è soltanto personale ma anche collettivo. I simboli dell’alchimia sono universali e ne è prova la loro presenza nei sogni di persone che non hanno idea di cosa sia l’alchimia.
L’inconscio collettivo è il luogo dove si trovano gli archetipi universali. I simboli alchemici sono immagini archetipiche, come l’ouroboros che con minime differenze si ritrova in diverse culture.
Grazie a Jung la scienza, dopo secoli di rigetto, ha ricominciato ad occuparsi di alchimia, non soltanto dal punto di vista storico ma come un sistema conoscitivo dell’uomo e per l’uomo. 

di Gandolfo Dominici