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lunedì 16 maggio 2011

La Pietra filosofale è nel cervello dell'Uomo

L’alchimia ha oggi principalmente valore mentale, spirituale ed esoterico. Nell’accezione odierna (e probabilmente anche in quella antica) la ricerca alchemica non consiste nella trasformazione chimico-fisica del metallo vile in oro. Tale “trasmutazione” va intesa in senso mentale, spirituale ed esoterico e verso tale tipo di “trasmutazione” si indirizza la pratica dell’alchimia.

Secondo diversi autori anche in tempi antichi l’alchimia era mentale e spirituale, essendo la sua rappresentazione “essoterica” come proto-chimica soltanto uno stratagemma per depistare gli impuri che approcciavano l’Arte alchemica in cerca di “metalli” (denaro, ricchezza).

In tal senso è possibile anche comprendere come scienziati “con i piedi per terra” come Isaac Newton (che fu famoso alchimista oltre che scienziato) potessero conciliare lo studio dell’alchimia con il rigore scientifico: la scienza cerca la conoscenza del mondo materiale, l’alchimia di quello spirituale. Alla base di questo “doppio binario” di ricerca di scienziati del calibro di Newton vi era presumibilmente l’intuizione che entrambe le strade potenzialmente possono fare avvicinare l’uomo alla Conoscenza del Tutto-Uno. Sul valore dell’alchimia come sistema conoscitivo della mente umana e dell’”inconscio collettivo” gli studi di Gustav Jung hanno aperto un canale di comunicazione tra scienza e alchimia.

Nel simbolismo alchemico appare dunque evidente che per “ “trasmutazione del metallo vile in oro”, il “metallo vile” (il piombo o aurum vulgi) altro non è che l’ignorante o il neofita, e l’”oro filosofale” (aurum philosopharum) è la “conoscenza aurea” (aurea apprehensio) che l’adepto può ottenere con la pratica dell’Arte.

Già i più antichi scritti alchemici distinguevano l’oro come metallo dall’oro spirituale o “filosofale”.

La frase:
“il nostro oro non è l’oro volgare (aurum nostrum non est aurum vulgi)

È presente in tutti i principali testi di alchimia. L’oro dell’alchimista è dunque l’”oro filosofale” o la Pietra filosofale(lapis philosaphorum), che per l’alchimista attribuisce la conoscenza aurea a chi la riusciva a riscoprire.

Il piombo simboleggia pertanto il profano, mentre l’oro volgare è metafora dell’apprendista che si impegna nel difficile percorso verso la conoscenza aurea. L’oro filosofale rappresenta invece il maestro alchimista che aveva ottenuto tale conoscenza.


Zosimo di Panopoli equiparava l’oro filosofale al Saggio e definiva gli alchimisti “amanti della Sapienza”, dunque Filo-sofi.


Raphael Patai in “Gli alchimisti ebrei” (ECIG, 1997) ci fa presente come la Bibbia impiega sette diversi nomi per indicare l’oro a seconda del ambito in cui vengono utilizzati e dell’attribuzione aggettivale. Tutti termini che almeno in linea teorica potrebbero somigliare alla definizione di oro filosofale dell’alchimista (Schwarz A. – Cabbala e Alchimia- Garzanti 2004).

Lo Zohar (opera essenziale della Cabbala risalente al XIII sec.) parla del “mistero dell’oro” riferendosi al metallo secondo allegorie spirituali. Da ciò si può dedurre (Schwarz, op. cit.) che i cabbalisti ebrei differenziassero l’oro come metallo dall’oro spirituale.

In un manoscritto di autore anonimo risalente probabilmente al XVI secolo: “Esh mesaref” (trad. “Fuoco del raffinatore”, Cfr. Patai, op. cit.) vengono descritti dieci ordini di oro corrispondenti alla dieci Sephirot della Cabbala.

Moses de León, rabbino e cabalista del XIII secolo (e anche presunto autore dello Zohar) nel Sefer parla di “mistero di questa materia [l’oro]” con un linguaggio ermetico che può essere letto in chiave alchemica:
“E questa polvere è davvero polvere d’oro... perché la sua causa è l’oro dell’alto [... ] Ed é per questo che la polvere genera e fa crescere il seme”
Nei testi alchemici Dio è spesso rapportato all’“oro dell’alto” e il profano alla terra (adamà, da cui, secondo la Genesi, l’uomo è stato creato), mentre l’iniziato é illuminato da Dio viene assimilato all’oro filosofale o alla “polvere d’oro”(Cfr. Schwarz , op. cit. p. 53).

Il rabbino cabalista di Salonicco Josef Taitazak definì l’alchimia “scienza divina”, ed affermava che:
“il mistero dell’oro e dell’argento superni è qualcosa di ben diverso dall’oro e dall’argento inferiori”.
Inoltre:
“colui che comprende tutto il mistero del mondo inferiore e il mistero dell’oro e dell’argento superni e inferiori otterrà grande sapienza”.
Secondo Schwarz, il rabbino Taitazak vuol dire che l’oro scelto della Cabbala corrisponde alla Sefira Bina(Comprensione, Intelligenza), e il mistero della purificazione dell’oro si basa sul mistero della natura divina. L’Athanor dell’alchimista, non è dunque altro che una rappresentazione fisica della Comprensione con cui ci si avvicina al mistero del divino. L’Athanor è nella testa dell’alchimista: l’alchimia è mentale.

Anche Jung ci dice che i filosofi (gli alchimisti) si autodefinivano "figli della testa d’oro”. (Cfr. G. Jung- Psicologia e alchimia- Bollati Boringhieri – 2006)

La Pietra filosofale è dunque nel nostro cervello da ciò probabilmente deriva l’uso del teschio in diversi rituali iniziatici.

La Pietra filosofale deve dunque essere estratta da noi stessi, per mezzo di un processo di trasmutazione mentale, processo di illuminazione verso una modalità conoscitiva spirituale.

L'intelletto illuminato è il mezzo per raggiungere l'oro dei filosofi.

di Gandolfo Dominici

(fonti citate nel testo)