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domenica 8 maggio 2011

L’eresia di Fra Dolcino da Novara (di Gandolfo Dominici)

Fra Dolcino nacque, intorno al 1260, a Prato Sesia  (Novara) (o secondo altre fonti a Trontano, in Val d'Ossola). Voci non provate e prive di fondamento storico lo ritengono figlio illegittimo di un prete spretato. L’equivoco, voluto dai suoi detrattori, deriva dal cognome del padre, Julio Preve, o De Pretis o Presbitero (nel testo latino Dulcinus, filius presbyteri Iulii). In gioventù fu probabilmente un francescano, sicuramente compì degli studi regolari con il grammatico vercellese Syon.
Nel 1290 entrò nel movimento degli apostolici di Gherardo Segalelli, ma per diversi anni non si fece particolarmente notare.
Nel 1300 dopo la morte sul rogo del Segalelli e la brutale repressione da parte della Chiesa cattolica, Dolcino  riparò per qualche tempo nel Bolognese. Da qui scrisse la prima delle sue lettere a tutti i seguaci del movimento, presentando la sua idea sullo sviluppo delle ere della Storiarielaborando le ben note teorie di Gioacchino da Fiore.
Secondo Dolcino, la storia dell'umanità era contraddistinta da quattro periodi:
-   Quello del Vecchio Testamento, caratterizzato dalla moltiplicazione del genere umano;
-  Quello di Gesù Cristo e degli Apostoli, caratterizzato dalla castità e povertà;
-  Quello iniziato al tempo dell'imperatore Costantino e di Papa Silvestro I, caratterizzato da unadecadenza della Chiesa a causa dell'accumulo delle ricchezze e dell'ambizione,
-  Quello degli apostolici Segalelli e Dolcino, caratterizzato dal modo di vivere apostolico,dalla povertà, dalla castità e dall'assenza di forme di governo ed esso sarebbe durato fino alla fine dei tempi.
Nelle sue lettere, egli fece ampio accenno all'Apocalisse di Giovanni e in particolare ai sette angeli delle sette chiese, precursori della propria setta. Egli infatti attendeva il settimo angelo, cioè di un papa, finalmente eletto da Dio e non dai cardinali. Questi ultimi sarebbero stati distrutti, assieme a Papa Bonifacio VIII (1294-1303), da Federico III d'Aragona e di Sicilia (1296-1337), re nel quale erano state riposte le speranze dei ghibellini italiani.
Anche Dante Alighieri, nel Canto XXVIII dell'Inferno, fa pronunciare da Maometto un incitamento alla difesa dell'eresia dolciniana:
 " - Or di' a Fra Dolcin, dunque, che s'armi,
" Tu che forse vedrai il sole in breve
" (S'ello non vuol qui tosto seguitarmi)
" Sì di vivanda, che stretta di neve
" Non rechi la vittoria al Noarese,
" Ch'altrimenti acquistar non saria lieve. -"

Nel 1303 Dolcino e il suo comitato direttivo si trasferirono in Trentino, in quanto molti suoi seguaci erano già stati arrestati nell’area bolognese. Qui il novarese conobbe Margherita di Trento detta "la bella", che rimarrà accanto all’eresiarca fino al supplizio finale.
In quello stesso anno l’odiato Bonifacio VIII subì la più grande umiliazione mai subita da un pontefice da parte dell’autorità laica. Il re di Francia che non sopportava più l’ingerenza della Chiesa negli affari di Stato, con l’aiuto di Sciarra Colonna, fece arrestare il Papa. Bonifacio, sconvolto dall’affronto subito, moriva appena un mese dopo, nell'ottobre 1303. Per molti eretici sembrò quindi giunto il momento della riscossa. Il comitato direttivo della congregazione Apostolica guidata da Dolcino era formato da circa cento membri, ma si contava che gli adepti, alla setta fossero più di quattromila.
Nei primi mesi del 1304, Dolcino si trasferì dal Trentino verso il Piemonte, attestandosi in Valsesia con tremila uomini. Pare, che alcune forzc ghibelline gli avessero offerto armi e sostegno.
I dolciniani rimasero qualche tempo fra Gattinara e Serravalle e altri villaggi nella diocesi di Vercelli, spostandosi poi per motivi di sicurezza da un villaggio all’altro. Entrarono quindi nella diocesi di Novara.
Durante il loro peregrinare, i dolciniani vennero aiutati e protetti dalle popolazioni locali.
Gli spostamenti finirono quando Dolcino, che ra ormai stato localizzato dai suoi nemici decise di fermarsi su un monte che sovrasta i villaggi del novarese:  la Parete Calva. Li egli iniziò la resistenza. Sulla parete del monte i dolciniani costruirono rifugi e case e riuscirono a respingere più volte le pattuglie armate inviate dalle autorità locali, facendo addirittura prigioniero il podestà di Varallo.

L’anonimo autore della Storia di Fra Dolcino  l’eresiarca, Historia fratris Dulcini heresiarche, racconta che dalla Parete Calva gli uomini scendevano a valle per commettere ogni sorta di crimini. Nell’inverno tra il 1305 e il 1306, Dolcino inviò la sua terza e ultima lettera, nella quale annunciò come imminente la venuta dell’Anticristo e profetizzò che lui e i suoi seguaci sarebbero stati portati in Paradiso davanti ai patriarchi Enoch ed Elia per scampare alla persecuzione dell’Anticristo. Subito dopo questa lettera, Dolcino lasciò il novarese e dopo un’epica marcia verso i monti, giunse, il 10 marzo 1306, nel vercellese, presso Trivero, insediandosi sul monte Zebello che da quel momento fu detto Rubello o Rebello, in quanto se n’erano impadroniti i ribelli.
Qui costruirono una fortezza sul monte, scavarono un pozzo, raggiungibile dalla fortezza per ottenere acqua in caso di assedio. Cominciò la loro resistenza senza speranza: gli scontri erano continui e i ribelli più volte si ridussero ad un tale stato di inedia da mangiare carne di topo, di cavallo, di cane, e fieno cotto col sego.
A questo punto il vescovo di Vercelli dispose un esercito di uomini scelti a presidiare i dolciniani. Nel frattempo papa Clemente V, successore di Bonifacio VIII, il 7 settembre 1306 invio lettere al nobiluomo Ludovico di Savoia, agli inquisitori, ai domenicani e all’arcivescovo di Lombardia:
“Abbiamo appresa, non senza grande amarezza, in che modo la nequizia di quel figlio di Satana di nome Dolcino si sia diffusain Lombardia, al punto che costui, ergendosi contro la Santa Chiesa e la fede cattolica, abbandonata la via della salvezza, inabissatasi nell ’errore, non solo precipita se stessa nella Gehenna, ma molti trascina con se con le parole e con l ’esempio e gli errori suoi hanno traviato, ahimé, molti uomini. Allo sterminio dei suoi errori, che l Anticristo nemica del genere umana si sforza di difendere in quei territori, bisogna far fronte rincuorando i  fedeli e allontanando dall’ovile le pecore infette, perché non   appestino le sane”.
Queste lettere non facevano altro che incitare il clero e la nobiltà lombardo-piemontese a  intraprendere una vera e propria crociata contro Dolcino. Il vescovo di Vercelli, capo della spedizione militare, fece costruire cinque bastioni sulle pendici del monte Rebello.  
La cattura di fra Dolcino in un affresco di autore anonimo (foto Martinero,
da: E. Sogno, "La croce e il rogo", Mursia, Milano, 1974)
L’esercito ormai controllava ogni via di fuga; agli assediati quindi non poteva  più giungere alcun tipo di aiuto o rifiorimento. Dolcino o i suoi caddero in tali ristrettezze da essere costretti a mangiare addirittura carne umana  degli uomini morti nelle battaglie o per gli stenti.
Si andò avanti cosi per tutto l’inverno tra il 1306 ed il 1307.
Avvicinandosi la primavera, il 13 marzo, giovedì santo 1307, il vescovo decise di sferrare un violento attacco con tutti gli uomini a disposizione. Gli assalitori sfondarono il fortilizio, i ribelli vennero uccisi a centinaia e gettati in un corso d’acqua che divenne rosso di sangue. Fra Dolcino,  Margherita “la bella" e il luogotenente Longino di Bergamo furono catturati vivi mentre cercavano di fuggire. Il sabato santo vennero  tradotti a Biella, dove il papa fece pervenire per loro una  sentenza di morte.  
Supplizio di fra Dolcino e Margherita (da: "Le tradizioni italiane"
di Angelo Brofferio - 1849
Il 1° giugno 1307, Margherita di Trento fu legata a una  colonna, sulla riva del Cervo, nei  pressi di Biella, e li bruciata viva sotto gli occhi di Dolcino. Subito dopo vennero giustiziati Dolcino e Longino, il primo a Biella il secondo a Vercelli.
Posto su un carro con piedi e mani legate, ben in alto, in modo che tutti potessero vederlo, Dolcino venne fatto sfilare per le vie della città. Sopra quel carro, alcuni uomini ficcavano delle tenaglie dentro un grande bacile contenente tizzoni ardenti, e con le stesse strappavano pezzi di carne allo sciagurato.  Durante la tortura, Dolcino non si fece sfuggire né un grido né un lamento;  soltanto quando gli strapparono il pene, emise come un mugolio con un’evidente smorfia di dolore. Quando fu messo al rogo era ormai in fin di vita. In punto di morte i carnefici lo invitarono al pentimento prima di giungere al cospetto di Dio, ma con fermezza l’uomo con un filo di voce mormoro che entro tre giorni sarebbe resuscitato. Quindi il fuoco lo avvolse e lo ridusse in cenere.
Dolcino divenne poi nei secoli seguenti un personaggio leggendario, tanto che i seguaci di Nietzsche lo esaltavano, quale incarnazione del superuomo che disprezza la viltà del gregge e lo dimostra con un atto di coraggio individuale.

 Fonti:
-La profezia dell’Anticristo e lo sterminio dei “ribelli” (di Giuseppe Ivan Lantos) Fonte: Hera –Settembre 2010