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domenica 8 maggio 2011

Il mistero del frutto "proibito" (di Gandolfo Dominici)

Quale era l'albero dal quale Eva aveva colto il frutto proibito?
Un melo, direte voi. No, al massimo un fico.

Contrariamente a quanto si crede, non fu una mela a "rovinare" l’umanità: infatti nel racconto biblico della Caduta la “mela” non è mai menzionata. La Genesi anzi non parla nemmeno di “frutto proibito”; né altrove nella Bibbia viene specificato quale frutto mangiarono colpevolmente i nostri progenitori nell’Eden. Anche sul tipo di albero, nessuna precisazione; tranne quella relativa alle sue virtù: Albero
della Conoscenza del Bene e del Male (Genesi 2,9.17; 3,6.22).

Invece della mela sono stati proposti nel tempo altri frutti che potrebbero essere il “frutto proibito”.
Non è insensato vedere nei fichi gli indiziati più probabili, dal momento che proprio le foglie di fico furono prontamente utilizzate da Adamo ed Eva per realizzare quello che è stato definito il primo indumento unisex della storia.

La Bibbia esalta il melo tra gli alberi del bosco, e i suoi frutti dolci, belli, fragranti: il termine ebraico che lo designa (tappùah) allude proprio al profumo del frutto.
Del melo si parla soprattutto nel Cantico dei Cantici (2,3.5; 7,9; 8,5; altri riferimenti sono in Proverbi 25,11 e Gioele 1,12), ma è solo probabile che si tratti della specie Pirus malus (o Malus communis), rarissima nel Vicino Oriente (dove oggi però cresce comunemente).
Sono state così avanzate diverse ipotesi: il “melo” della Bibbia è stato identificato con l’arancio, il cedro, il (melo) cotogno, il melograno e in particolare con l’albicocco.
Secondo gli studiosi di flora biblica, i “frutti d’oro” di Proverbi 25,11 sarebbero i frutti di quest’ultimo
albero, che fornisce sia ombra abbondante che frutti dorati, dolci e freschi al gusto (Cantico dei Cantici 2,3.5).

Ma allora com’è entrata la mela nel racconto della Caduta?
Come ha acquistato, nella tradizione cristiana, la pessima fama di frutto del peccato?
All'origine del legame tra la mela e il male c’è forse una errata traduzione, dal latino all’italiano, del termine malum. Per diversi secoli molti cristiani hanno parlato la lingua latina, e in latino malum può significare entrambe le cose: “male” e “mela”.
Durante il Medioevo, poi, dovendo raffigurare la prima donna che coglie il frutto proibito, gli artisti considerarono la familiarissima mela (rossa, tonda e succosa) perfetta per rappresentare la tentazione (pensando anche al pubblico per lo più analfabeta).

La tradizione ebraica ha via via identificato il frutto proibito, come ha scritto Louis Ginzberg, con l’uva, il grano, la noce, la carruba (in ebraico distruzione), la palma, simbolo della battaglia e della strage. Fino ad approdare al fico: è infatti menzionato esplicitamente dal primo libro della Bibbia quando Adamo ed Eva, subito dopo aver mangiato dall’albero della conoscenza del bene e del male, ne raccolgono le grandi foglie per coprirsi:
‘Allora si aprirono gli occhi di tutti e due e si accorsero di essere nudi; intrecciarono foglie di fico e se ne fecero cinture’ (Genesi 3,7).
Non è dunque credibile che Adamo ed Eva appena si accorsero di essere nudi abbiano attinto temporanea copertura dall’albero più vicino, quello da cui si erano appena cibati?

Il fico è sicuramente pianta più mediterranea e biblica della nordica mela e in molte antiche tradizioni funge da simbolo dell’iniziazione ai misteri divini.
Per gli egizi il fico donava ai morti la vita eterna e lo stesso Buddha cercò l’illuminazione sotto un enorme ficus religioso, dove radunava anche gli allievi per i suoi insegnamenti (a differenza di Mago Merlino che preferiva ritirarsi sotto un melo).

Ormai quel che è fatto è fatto. Nel nostro immaginario la mela (o pomo) viene associata al peccato di Adamo ed Eva. Tale associazione è ben radicata anche nella nostra tradizione linguistica: si pensi al“pomo d’Adamo” in anatomia. E non deve meravigliare il fatto che perfino un ottimo dizionario come lo Zingarelli possa tranquillamente affermare, riguardo il frutto proibito:
“il pomo che, secondo la narrazione biblica, Adamo non doveva mangiare”.

Ma poi pensate veramente che sarebbe stato un bene se Adamo non avesse mangiato il "frutto della conoscenza"?
E se Dio creò l'uomo "a sua immagine e somiglianza" non era forse ovvio che l'uomo, aspirando ad avvicinarsi a Dio ed avendone l'indole, avrebbe aspirato alla CONOSCENZA?

Forse tutto era previsto ed il "peccato originale" altro non fu che un rito di passaggio dalla beata ignoranza (comune a tutto il creato) dell'uomo animale felice ed inconsapevole all'UOMO che per soddisfare la sua anima divina aspira alla comprensione del Creato.

Fonti:
- R. Beretta – E. Broli, Gli undici comandamenti, prefazione di mons. G. Ravasi, Piemme, 2002