
Pitagorici celebrano il sorgere del sole di Fyodor Bronnikov (1827-1902)
Già 550 anni prima di Cristo i pitagorici avevano intuito che il cuore dell’universo è un sistema matematico. Tutto dipende dal saperlo leggere con attenzione.
Moltissima gente oggi crede di poter fare affidamento su numeri ritenuti fortunati o sfortunati.
Pitagora nacque a Samo, un'isola del Dodecanneso, non lontana dalle coste dell'attuale Turchia. Pitagora visse probabilmente 80 anni e morì a Metaponto, in Basilicata, intorno al 570 a.C. Si suppone che, nel corso dei suoi viaggi abbia soggiornato anche in Egitto,in Babilonia, e in India, prima di stabilirsi a Crotone, al tempo colonia calabrese della magna Grecia, dove raccolse intorno a sé una comunità aristocratica che professava una religione misterica.
Le dottrine della scuola erano segrete e anche dopo la morte di Pitagora continuarono ad essere a lui attribuite le variazioni e le evoluzioni, immaginando che parlasse tramite la divinità: da qui nacque la famosa espressione ipse dixit ("l'ha detto lui in persona"), con la quale si indicava
che ogni elaborazione non era altro che uno sviluppo delle dottrine del maestro Pitagora. Proprio per questo non sappiamo se il celebre teorema di Pitagora sia effettivamente suo o di qualcun altro a lui vicino.
Tutto però ebbe fine quando nel 510 circa vi fu una rivolta a Crotone che portò alla distruzione della scuola, che era di schieramento aristocratico.
Intorno al 550 a.C. Pitagora e i suoi discepoli, in Magna Graecia, cominciarono a studiare la matematica per se stessa. Essi erano interessati a tutto ciò che nell’universo si potesse collegare ai numeri. In tal modo, aspiravano a connettere le parti più disparate del mondo, associando i moti planetari ad una scala musicale e convertendo le quantità in forme geometriche. I pitagorici ritenevano che i numeri avessero dei significati intrinseci, che non fossero dei semplici attributi delle cose: ogni cosa, per loro, era un numero.
Da queste credenze di carattere religioso nacque una ricerca volta ad esplorare i numeri delle cose sotto tutte le forme possibili, identificando i legami accidentali tra i numeri in aree diverse della vita.
Alcuni numeri avevano proprietà positive, altri negative; alcuni dovevano essere tenuti segreti, altri potevano essere svelati a tutti.
Pitagora, del resto, amava fare dei giochi con i numeri. Uno dei suoi preferiti era individuare la sequenza dei numeri triangolari. Ora, noi possiamo vedere come una semplice struttura numerica possa emergere in modo naturale, semplicemente appoggiando a terra dei ciottoli o altri oggetti simili; se si dispongono una sotto l’altra delle righe formate rispettivamente da uno, due o tre punti, si costruisce una progressione di numeri che hanno forma triangolare; sommando riga per riga si ottiene la progressione dei numeri triangolari:1,1+2=3, 1+2+3=6, 1+2+3+4=10 e così via.
Ciò era una scoperta particolarmente illuminante per i pitagorici, perché i greci denotavano i numeri mediante lettere del loro alfabeto e questo metteva in ombra le regolarità della sequenza che per noi sono invece immediatamente evidenti.
Pitagora fu indotto a compiere il suo primo balzo immaginativo e a considerare i numeri delle cose come oggetti geometrici. Infatti, la rappresentazione visiva dei triangoli di numeri di Pitagora era affascinante: l’1 era rappresentato come un punto, il 2 come un segmento, il 3 come un triangolo, la prima figura che racchiudeva un’area; il numero 4 simboleggiava la prima figura solida, il tetraedro, vale a dire una piramide con quattro facce triangolari e quattro vertici.
In seguito fece una scoperta ancora più sorprendente: si rese conto che l’accordatura degli strumenti musicali greci dipendeva da semplici rapporti numerici: 1:2, 3:2, 4:3 e 8:9. Questi erano i soliintervalli musicali che i greci consideravano armoniosi e gradevoli all’orecchio. Pitagora dunque pensò di aver scoperto che le variazioni nella percezione dei sensi umani dipendevano dalla matematica; inoltre, il comparire di numeri analoghi nella descrizione degli intervalli musicali e in quella del moto dei pianeti convinse i pitagorici che questi fenomeni apparentemente diversi erano comunque intimamente connessi.
L’influsso di questa scoperta sul pensiero di Pitagora fu importantissimo. Ciò che sta alla radice della numerologia è la convinzione che vi sia qualcosa di intrinsecamente significativo nei numeri stessi; così l “setteità” diventa una qualità condivisa che unisce tutte le cose che hanno una qualità settuplice. Da qui a considerare certi numeri di buono o cattivo augurio, manca poco
I pitagorici attribuivano a certi numeri attributi particolari, come bontà e giustizia; alcuni numeri erano addirittura venerati a causa delle loro proprietà speciali. I numeri detti “perfetti”, che in tutto erano trentatré, devono il loro nome ad una specifica proprietà: essere pari alla somma di tutti i loro divisori esatti, a parte se stessi.
Il primo numero perfetto è 6= 1+2+3, il secondo è 28=14+7+4+2+1. I due successivi sono 469 e 8128,
ed erano conosciuti agli antichi greci. Oggi se ne conoscono soltanto trentatré, non si sa se ve ne siano di numero infinito.
I più “sacri” numeri pitagorici erano i primi quattro, 1, 2, 3, 4, che formavano il numero triangolare 10. La rappresentazione triangolare del numero 10 era il simbolo della sacra tetraktys, sulla quale gli iniziati della confraternita pitagorica dovevano prestare il loro giuramento di segretezza e di fedeltà.

tetraktys
La tetraktys era semplicemente la chiave universale capace di rivelarci la spiegazione della totalità della vita e dell’esperienza. Queste idee così originali si rivelano persistenti. In ogni epoca ed in ogni luogo, infatti, ci furono scrittori e pensatori affascinati dal significato dei numeri; trattavano equazioni e formule come se fossero codici segreti che racchiudevano il vero significato dell’universo. Questa concezione non è svanita neanche oggi, e forse non si estinguerà mai.
La scuola pitagorica entrò in crisi con la scoperta, tenuta segreta, dei numeri "irrazionali".
I Pitagorici studiarono la sezione aurea e scoprirono che il lato del decagono regolare inscritto in una circonferenza di raggio r è la sezione aurea del raggio e costruirono anche il pentagono regolare intrecciato o stellato, o stella a 5 punte che i Pitagorici chiamarono pentagramma e considerarono simbolo dell’armonia ed assunsero come loro segno di ricoscimento , ottenuto dal decagono regolare congiungendo un vertice si e uno no .

pentagramma
Infatti i suoi lati si intersecano sempre secondo la sezione aurea.
In formule, indicando con a la lunghezza maggiore e con b la lunghezza minore, vale la relazione:
(a+b):a = a : b = b : (a-b)
Il numero ricavato, che esprime la sezione aurea, è un numero irrazionale.
Un numero irrazionale è un numero reale che non è un numero razionale, cioè non può essere scritto come una frazione a / b con a e b interi, con b diverso da zero.
I numeri irrazionali sono quei numeri la cui espansione in qualunque base (decimale, binaria, ecc) non termina mai e non forma una sequenza periodica.
Queste teorie assieme al teorema di Pitagora portano ad una contraddizione: infatti per i pitagorici numero significava solo numero intero perciò essi erano infastiditi dalla scoperta che alcuni rapporti (quello ad esempio di un’ipotenusa e un suo cateto o tra la diagonale e il lato di un quadrato) non erano esprimibili mediante numeri interi, ma con i numeri irrazionali.
Non c’è da meravigliarsi perciò del fatto che fu proibito ai membri della setta di rivelare ad altri queste scoperte considerate blasfeme e sconcertanti; ma Ippaso da Metaponto divulgò il segreto.
Proclo, a questo proposito, in uno scolio del X libro degli elementi scrive:
"I pitagorici narrano che il primo divulgatore di questa teoria [degliirrazionali] fu vittima di un naufragio; e parimenti si riferivano allacredenza secondo la quale tutto ciò che è irrazionale, completamenteinesprimibile e informe, ama rimanere nascosto; e se qualche anime sirivolge ad un tale aspetto della vita, rendendolo accessibile e manifesto,viene trasportata nel mare delle origini, ed ivi flagellata dalle onde senzapace".
Si può notare come Proclo descriva la teoria degli irrazionali quasi come un timore, una paura per i pitagorici. Questa deriva dal fatto che per i pitagorici il numero era la cosa più importante e per questo tutte le proprietà geometriche venivano ridotte a proprietà aritmetiche. Dopo la scoperta degli incommensurabili questa riduzione non era sempre possibile.
La geometria quindi viene ad acquisire una superiorità rispetto all’aritmetica (che prevedeva all’epoca solo l’uso di numeri razionali). Si dovranno aspettare Eudosso, Euclide e poi Archimede per uscire dalla paura dei numeri irrazionali.
I numeri irrazionali con la loro rappresentazione intrinsecamente infinita di una quantità finita, riportano ad una nuova concezione del concetto di infinito riprendendo e sviluppando il concetto già conosciuto anche da Pitagora di infinitesimale derivante dai paradossi di Zenone
(attribuiti a Zenone di Elea, 495-435 a.C.).
Zenone, discepolo ed amico di Parmenide, per sostenere l'idea del maestro, che la realtà è costituita da un Essere unico e immutabile, propose alcuni paradossi che dimostrano, a rigor di logica, l'impossibilità della molteplicità e del moto, nonostante le apparenze della vita quotidiana. Il Paradosso di Achille e la tartaruga - uno dei paradossi di Zenone più famosi - afferma che se
Achille (detto "pie' veloce") venisse sfidato da una tartaruga nella corsa e concedesse sempre alla tartaruga un vantaggio, egli non riuscirebbe mai a raggiungerla, dato che Achille dovrebbe prima raggiungere la posizione occupata precedentemente dalla tartaruga che, nel frattempo, sarà avanzata raggiungendo una nuova posizione che la farà essere ancora in vantaggio; quando poi Achille raggiungerà quella posizione nuovamente la tartaruga sarà avanzata precedendolo ancora. Questo stesso discorso si può ripetere per tutte le posizioni successivamente occupate dalla tartaruga e così la distanza tra Achille e la lenta tartaruga pur riducendosi verso l'infinitamente piccolo non arriverà mai ad essere pari a zero. Da questo paradosso, basato sull'assunto che spazio e tempo sono divisibili
all'infinito, Zenone inferisce che il movimento è impossibile.
La dicotomia tra numeri e grandezze continue dei pitagorici richiese un nuovo approccio alla matematica, nonché un nuovo modo di concepire la filosofia e la religione.
In conformità a questa nuova ottica negli "Elementi" di Euclide (330-275 a.C.) I numeri vengono
sostituiti dalle aree.
Eudosso (408-355 a.C) prima e poi Archimede (287-212 a.C.) fecero uso di aree infinitesimali nel calcolo di aree e volumi. Archimede dimostrò come si possa usare l'infinito potenziale per trovare il volume di una sfera e di un cono producendo risultati effettivi.
Il concetto di infinito, cosi contro-intuitivo, ha continuato ad essere uno dei più difficili per filosofi e logici di ogni epoca, portandone molti di ieri e di oggi anche alla pazzia.
Fonti:
-I numeri dell'universo. Le costanti di natura e la teoria del tutto - John D. Barrow - Mondadori
-Il mistero dell'alef - Amir D. Aczel - Net