
All'inizio del settimo libro della Repubblica, Platone narra il mito della caverna, uno dei piú famosi ed affascinanti. Prima di commentarlo propongo di leggere queste pagine:
Repubblica, 514 a-517 a(Platone, Opere, vol. II, Laterza, Bari, 1967, pagg. 339-342)I– In séguito, continuai, paragona la nostra natura, per ciò cheriguarda educazione e mancanza di educazione, aun’immagine come questa. Dentro una dimora sotterranea aforma di caverna, con l’entrata aperta alla luce e ampiaquanto tutta la larghezza della caverna, pensa di vedere degliuomini che vi stiano dentro fin da fanciulli, incatenati gambe ecollo, sí da dover restare fermi e da poter vedere soltanto inavanti, incapaci, a causa della catena, di volgere attorno ilcapo. Alta e lontana brilli alle loro spalle la luce d’un fuoco etra il fuoco e i prigionieri corra rialzata una strada. Lungoquesta pensa di vedere costruito un muricciolo, come queglischermi che i burattinai pongono davanti alle persone permostrare al di sopra di essi i burattini.– Vedo, rispose.–Immagina di vedere uomini che portano lungo il muricciolooggetti di ogni sorta sporgenti dal margine, e statue e altrefigure di pietra e di legno, in qualunque modo lavorate; e,come è naturale, alcuni portatori parlano, altri tacciono.– Strana immagine è la tua, disse, e strani sono queiprigionieri.–Somigliano a noi, risposi; credi che tali persone possanovedere, anzitutto di sé e dei compagni, altro se non le ombreproiettate dal fuoco sulla parete della caverna che sta loro difronte? – E come possono, replicò, se sono costretti a tenereimmobile il capo per tutta la vita?– E per gli oggetti trasportati non è lo stesso? –Sicuramente.– Se quei prigionieri potessero conversare tra loro, non crediche penserebbero di chiamare oggetti reali le loro visioni?– Per forza.– E se la prigione avesse pure un’eco dalla parete di fronte?Ogni volta che uno dei passanti facesse sentire la sua voce,credi che la giudicherebbero diversa da quella dell’ombra chepassa?– Io no, per Zeus!, rispose.– Per tali persone insomma, feci io, la verità non può esserealtro che le ombre degli oggetti artificiali.– Per forza, ammise.– Esamina ora, ripresi, come potrebbero sciogliersi dallecatene e guarire dall’incoscienza. Ammetti che capitasse loronaturalmente un caso come questo: che uno fosse sciolto,costretto improvvisamente ad alzarsi, a girare attorno il capo,a camminare e levare lo sguardo alla luce; e che cosí facendoprovasse dolore e il barbaglio lo rendesse incapace discorgere quegli oggetti di cui prima vedeva le ombre. Checosa credi che risponderebbe, se gli si dicesse che primavedeva vacuità prive di senso, ma che ora, essendo piú vicinoa ciò che è ed essendo rivolto verso oggetti aventi piú essere,può vedere meglio? E se, mostrandogli anche ciascuno deglioggetti che passano, gli si domandasse e lo si costringesse arispondere che cosa è? Non credi che rimarrebbe dubbioso egiudicherebbe piú vere le cose che vedeva prima di quelle chegli fossero mostrate adesso?– Certo, rispose.
II– E se lo si costringesse a guardare la luce stessa, nonsentirebbe male agli occhi e non fuggirebbe volgendosi versogli oggetti di cui può sostenere la vista? E non li giudicherebberealmente piú chiari di quelli che gli fossero mostrati?– È cosí, rispose.– Se poi, continuai, lo si trascinasse via di lí a forza, su perl’ascesa scabra ed erta, e non lo si lasciasse prima di averlotratto alla luce del sole, non ne soffrirebbe e non s’irriterebbedi essere trascinato? E, giunto alla luce, essendo i suoi occhiabbagliati, non potrebbe vedere nemmeno una delle cose cheora sono dette vere. – Non potrebbe, certo, rispose, almenoall’improvviso.– Dovrebbe, credo, abituarvisi, se vuole vedere il mondosuperiore. E prima osserverà, molto facilmente, le ombre epoi le immagini degli esseri umani e degli altri oggetti nei lororiflessi nell’acqua, e infine gli oggetti stessi; da questi poi,volgendo lo sguardo alla luce delle stelle e della luna, potràcontemplare di notte i corpi celesti e il cielo stesso piúfacilmente che durante il giorno il sole e la luce del sole.– Come no?– Alla fine, credo, potrà osservare e contemplare quale èveramente il sole, non le sue immagini nelle acque o su altrasuperficie, ma il sole in se stesso, nella regione che gli èpropria.– Per forza, disse.– Dopo di che, parlando del sole, potrebbe già concludere cheè esso a produrre le stagioni e gli anni e a governare tutte lecose del mondo visibile, e ad essere causa, in certo modo, ditutto quello che egli e i suoi compagni vedevano.– È chiaro, rispose, che con simili esperienze concluderà cosí.– E ricordandosi della sua prima dimora e della sapienza cheaveva colà e di quei suoi compagni di prigionia, non credi chesi sentirebbe felice del mutamento e proverebbe pietà perloro?– Certo.– Quanto agli onori ed elogi che eventualmente siscambiavano allora, e ai primi riservati a chi fosse piú acutonell’osservare gli oggetti che passavano e piú rammentassequanti ne solevano sfilare prima e poi e insieme,indovinandone perciò il successivo, credi che li ambirebbe eche invidierebbe quelli che tra i prigionieri avessero onori epotenza? O che si troverebbe nella condizione detta da Omeroe preferirebbe “altrui per salario servir da contadino, uomosia pur senza sostanza”, e patire di tutto piuttosto che averequelle opinioni e vivere in quel modo?– Cosí penso anch’io, rispose; accetterebbe di patire di tuttopiuttosto che vivere in quel modo.– Rifletti ora anche su quest’altro punto, feci io. Se il nostrouomo ridiscendesse e si rimettesse a sedere sul medesimosedile, non avrebbe gli occhi pieni di tenebra, venendoall’improvviso dal sole?– Sí, certo, rispose.– E se dovesse discernere nuovamente quelle ombre econtendere con coloro che sono rimasti sempre prigionieri, nelperiodo in cui ha la vista offuscata, prima che gli occhi torninoallo stato normale? E se questo periodo in cui rifà l’abitudinefosse piuttosto lungo? Non sarebbe egli allora oggetto di riso?E non si direbbe di lui che dalla sua ascesa torna con gli occhirovinati e che non vale neppure la pena di tentare di andar su?E chi prendesse a sciogliere e a condurre su quei prigionieri,forse che non l’ucciderebbero, se potessero averlo tra le manie ammazzarlo?– Certamente, rispose. [...]
Il mito della caverna è il riassunto della filosofia platonica in quanto assume un forte significato in tutti gli ambiti:
-differenza tra mondo sensibile e iperuranio;
-missione del filosofo;
-idea di bene che sovrasta tutte le altre idee.
Questo mito può anche essere considerato come una allegoria che spazia dal concetto di "bene" al concetto di "conoscenza", cioè, in ultima analisi, al concetto di "VERITÀ".
In quest'allegoria l'uomo è rappresentato come rinchiuso, le ombre sono proiettate dal fuoco sono giudicate dall'uomo incatenato, come LA REALTÀ, infatti la sua esperienza sensibile è fatta, fin dalla sua nascita, solo dalle ombre.
Se liberato l'uomo è molto confuso, e, all'inizio, giudica più vere le ombre che vedeva prima.
Posando il suo sguardo sulla luce del sole, non essendo abituato, la luce lo abbaglia e, perciò, rivolge lo sguardo verso gli oggetti terreni, ma, per distinguerli, deve fare un grande sforzo di adattamento, deve abituarsi, con gradualità alla visione pacata delle cose.
- Prima osserverà le ombre;
- poi le immagini degli uomini e degli oggetti riflessi nell'acqua;
- poi gli oggetti stessi;
- potrà, poi, volgere lo sguardo, di notte, alle stelle e alla luna;
- infine potrà guardare il SOLE...
Solo a questo punto, l'uomo potrà affermare che è il sole a riprodurre gli anni e le stagioni. E quest'uomo, ricordandosi della sua prima dimora, la caverna, si sentirà felice e proverà pietà per i suoi simili rimasti ancora nella caverna e, se per ipotesi, egli tornasse nella caverna e discutesse delle ombre con gli altri uomini ancora incatenati, egli sarebbe deriso per la sua interpretazione delle ombre.
Con questo mito Platone vuole rappresentare la storia dell'uomo che si libera dalla schiavitù del buio e dell'ignoranza. L'uomo ha, in una prima fase, una conoscenza soltanto sensibile, una conoscenza, cioè, che deriva solo dalle informazioni che pervengono dai sensi. Quando, invece, nella mente umana si sviluppa un processo di speculazione, l'uomo è fortemente condizionato dalle sue ombre che sono l'esperienza umana.
Solo nella fase successiva, riesce a contemplare le idee ed infine ne può contemplare la più alta e sublime, il SOLE, che rappresenta il sia "Bene", cioè quello che è il fine dell'azione morale della"Verità", del "Logos".
Esistono diverse interpretazioni di questo mito:
1- La verità è considerata come proprietà dell'Essere: Es. Dio è eterno; E questa verità è eterna, immutabile. Ed è una verità che continua ad essere vera anche se nessuno la conosce. E' una verità
oggettiva che resta tale aldilà di ciò che ne percepiscono i nostri sensi. Questa conoscenza della verità,è la conoscenza dell'Assoluto. E questa interpretazione è quella ONTOLOGICA. Nel mito sono descritti i generi dell’essere; due per il sensibile, due per l’ intelligibile; il muro è lo spartiacque. Le ombre rappresentano le ombre che immaginiamo. Le statuette gli oggetti sensibili veri e propri. Gli oggetti della natura che l’uomo vede una volta valicato il muro sono gli oggetti matematici. Il sole l’idea del bene-bello. Il prigioniero che si libera passa da una conoscenza
sensibile a una intelligibile, poiché arriva al sole e quindi alle idee.
2- Un secondo aspetto è dato dalla interpretazione di una verità che ci consente di conoscere le cose come esse sono, con un adeguamento della nostra mente ad essa. E' un senso soggettivo che esprime la NOSTRA VERITÀ poiché così ce la fanno vedere i nostri sensi e la nostra esperienza. E questo è un fatto sempre relativo poiché legato alla nostra particolare interpretazione. Questa interpretazione la chiamavamo, sempre al liceo, GNOSEOLOGICA.
La visione delle ombre rappresenta l’immaginazione. La visione delle statuette l’opinione, la credenza. La visione degli oggetti della natura (matematici) rappresenta la conoscenza mediana e quella del sole
la pura intellezione, perciò solo il filosofo può arrivare al bene-bello.
3- Dal punto di vista TEOLOGICO, la vita della caverna è quella di chi si basa sui sensi. La vita di chi riesce a liberarsi è quella di chi valorizza l’anima e quindi cura la dimensione interiore. La vita nella caverna è più facile ma non porta alla vera conoscenza mentre quella fuori, più difficile, conduce all’idea del bene-bello, perciò ad una valenza divina.
4- Esiste anche una interpretazione POLITICA, non da tutti condivisa. Il prigioniero ritorna nella caverna per liberare gli altri prigionieri ancora incatenati, ma la maggioranza di essi rifiuta perché vivere dentro è molto più facile, come più semplice è non avere responsabilità piuttosto che averne: il filosofo rischia di non poter esser capito. Come viene respinto il prigioniero che tende a liberare gli altri, così anche il filosofo non viene capito quando si occupa del potere politico e viene così respinto.
Oggi più che mai, bombardati dai "memi" mediatici, noi viviamo in un mondo di ombre e, spesso, siamo inclini a considerare come "Verità" le nostre ombre ed a fare delle stesse il metro di paragone per esprimere giudizi e determinare comportamenti.
Per uscire dalla nostra caverna e abbandonare le nostre ombre dobbiamo rompere le catene dei i nostri dogmi; ciò che sembra, per noi, certezza acquisita, è spesso di ostacolo per raggiungere ciò che l'uomo fin dalle sue origini, ha sempre cercato e, cioè la Verità.
Ma quale verità cerca l'Uomo?
Egli cerca una risposta ai grandi interrogativi che lo hanno sempre
assillato:
"Chi sono, da dove vengo, dove vado? Perché la vita, la morte, la sofferenza?".
Dall'altra parte, cerchiamo una risposta agli interrogativi che ci poniamo sulla conoscenza dell'Assoluto.
Ma dare una risposta a questo secondo interrogativo vorrà dire giungere alla conoscenza dell'Assoluto, dell'essenza della vita, dell'essenza dell'uomo, dell'essenza di Dio. Ma, per noi, questa conoscenza è
irraggiungibile nel corso dell'esistenza di quella scintilla pitagorica che è l'esistenza dell'uomo. La conoscenza dell'Assoluto rimane comunque, forse, il fine ultimo dell'umanità.
Diceva il filosofo Lessing:
"Se io dovessi incontrare la Verità, non la vorrei riconoscere".
Infatti dove sarebbe più lo sforzo di ricerca che contraddistingue l'essenza dell'uomo? Saremmo, angeli, dei, non più uomini. Quale verità allora ricercare?
Sant'Agostino diceva:
"in interiore homine habitat veritas"
La Verità si trova nel nostro cuore. Non dobbiamo ricercarla chissà, ma in noi stessi, prendendo, ad esempio, coscienza della nostra umanità, con tutte le sue grandezze e tutte le sue debolezze, prendendo coscienza che la grandezza dell'uomo sta proprio nel pensiero e nella ricerca: un uomo debole ed oppresso da tutti gli eventi fisici e naturali, ma un uomo grande per il suo pensiero libero.
Vi sono, poi invece, altre verità conoscibili: i principi cosiddetti naturali ed i principi che affermano chel'uomo nasce libero, uguale e fratello.
Pascal affermava, nei suoi pensieri:
"noi conosciamo la verità non soltanto con la ragione, ma anche col cuore. In questo ultimo modo conosciamo, afferma, i principi primi e, pur non potendoli provare con la ragione, sappiamo di non sognare. La nostra impotenza prova soltanto la debolezza della nostra ragione, ma non l'incertezza di tutte le nostre conoscenze".
E' un modo, questo, per poter allontanare qualche ombra non solo dalla limitata conoscenza che abbiamo dell'Assoluto, ma anche togliere qualche ombra dalla conoscenza del nostro mondo sensibile: il mondo così come noi lo vediamo è l'insieme di ombre che scorrono; e la relatività della nostra conoscenza ci fa considerare, oggi, vera una cosa e domani, dopo ulteriori esperienze, si affacciano altre verità, spesso in contraddizione con la precedente.
Per questo, passando ai nostri giorni, è facile prendere in considerazione il passaggio dall'idea di caverna platonica a quella che possiamo definire caverna mediatica.
Vediamo una realtà che è quella trasmessa dai media, e in un mondo dove anche le relazioni umane e sociali sono sempre più codificate e mediate dai mezzi digitali. Viviamo in città piene di persone che raramente vediamo come nostri simili, bombardati da immagini, suoni, visioni di oggetti.
Abbiamo amici di facebook che non abbiamo mai visto di persona, vediamo il mondo tramite youtube e la TV, leggiamo i quotidiani che trasmettono l'ombra della verità.
Occorre dunque riflettere ed imparare ad utilizzare le nuove tecnologie e a gestire la nostra vita in maniera più umana. Occorre essere capaci di vedere la LUCE. Ma la capacità di vedere è, appunto, una capacità, non è il vedere.
"Visita Interiora Terrae Rectificando Invenies Occultam Lapidem". ("Visita l'interno della terra e rettificando troverai la pietra nascosta") o in altre parole "Scendi nelle viscere della terra e, raddrizzando pian piano, la tua strada, troverai la pietra filosofale".
La capacità di vedere ci impone, quindi, il compito arduo di raddrizzare la strada delle nostre conoscenze e del nostro impegno nel corso della nostra vita in questa Caverna che è il
nostro mondo.
Gandolfo Dominici
Fonti:
-Platone, Opere, vol. II, Laterza, Bari, 1967;
-http://skuola.tiscali.it/filosofia-antica/plato-mito-caverna.html